lunedì 30 novembre 2015

"Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer" (1972) di Giuliano Carnimeo/Anthony Ascott






 Le mani di una donna accarezzano sensuali il telefono pubblico, quasi pregustando quel corpo la cui voce le dice di salire. Percorre gioiosa le strade affollate, quasi inebriata, senza accorgersi di quell'auto che la segue.
 Dalle strade affollate, il suo corpo si riversa in un ascensore anch'esso colmo di gente. Un ascensore reso ancora più claustrofobico da una presenza acuta e dall'incosapevolezza di quella donna, la cui solitudine è un palcoscenico che si apre al passaggio degli altri passeggeri. Un palcoscenico che viene subito chiuso da quella presenza, che le preme un fazzoletto sul viso.Una presenza che l'accoltella una volta. Due volte, prima di tagliarle la gola.
 Quello stesso palcoscenico però si riapre. Si riapre grazie alle porte che si spalancano su un pianerottolo composto da tre paia di occhi e da una gola che urla.

Ogni scena ha un sipario, ogni palcoscenico si apre e si chiude alla vista di spettatori volontari o involontari. Quello su cui regna Arthur (Oreste Lionello), fotografo pubblicitario, è una valle dell'Eden su cui si posano gli occhi di Andrea Barto (George Hilton), un immobiliarista giunto allo studio al fine di ideare una campagna pubblicitaria per un nuovo complesso edilizio. Occhi che incontrano quelli di Jennifer Lansbury ( Edwige Fenech).




  Da palcoscenico a palcoscenico. Da quello quasi ardente di luce in cui posa Jennifer a quello dominato dalle ombre su cui muove i suoi passi scalzi la pantera Mizar Harrington (Carla Brait). Pantera su cui decine di occhi travalicano la bellezza, e tra i quali vi sono anche quelli di Andrea, recatosi al night per incontrare la mulatta tanto decantata dal fotografo.
 La sfida della pantera risulta una danza sensuale e quasi ancestrale con la sua violenza.  Un'amazzone d'ebano che fluttua come onde di tempesta.





 Tempesta emotiva che si abbatterà su Jennifer all'apparire del suo ex-marito, leader di una setta a cui Jennifer apparteneva. Una setta basata sull'umiliazione dell'essere come humus per la sua liberazione... Proprio in questo momento di apprensione, Jennifer si lega ad Andrea.




 "Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer" sembra quasi dedicato agli spettatori di "Lo strano vizio della signora Wardh", splendido thriller di Sergio Martino, che lo ha preceduto nelle sale solo di un anno. Molti risultano gli elementi comuni, ma questi vengono spazzati via proprio nel momento in cui lo spettatore si pone sul podio con un sorriso da esperto cinefilo. Carnimeo, passatemi il paragone, si diverte con lo spettatore con la stessa ironia che usò Freddie Francis in "Paranoiac" (Il rifugio dei dannati).




giovedì 26 novembre 2015

Alessandro Girola - Gladiatori contro Kaiju






 Roma 95 d.C. Tre occhi scrutano l'anfiteatro che lo racchiude. Tre occhi che vengono osservati da centinaia di spettatori. Tre occhi incastonati nella testa di un mostro sorretto da piedi di anfibio e da tentacoli viscidi. Un mausoleo, alto più di due metri e l'argo sei, che si dirige, con la potenza e l'inesorabilità agghiacciante di una valanga, su cinque gladiatori le cui gesta sono impresse come bassorilievi ematici in quel luogo di glorie.
 Quei cinque uomini fanno parte del "programma speciale" dei Ludi voluto da Domiziano. Il loro compito è quello di sollazzare il popolo scontrandosi con gli abomini  plasmati nelle terre di Tartesso. Il comandante di questo gruppo di eroi è Caronte, così chiamato per la maschera che cela il suo volto nell'arena. Egli ha un compito ben più importante che quello di realizzare il motto di Giovenale. Il mirmillone deve infatti indagare su un inquietante culto che si sta diffondendo a Roma, dominata con pugno di ferro dall'Imperatore Domiziano, grazie alla tecnologia scoperta nelle rovine dei Ciclopi. Un culto che venera le deità distruttrici partorite dalle viscere del regno di Tartesso, terra da cui provengono quelle stesse creature mostruose che egli combatte nell'arena.

Come un titano, Alessandro Girola dirama improvvisamente le nubi di mistero e paure che ammantano le menti dei personaggi, così come le nostre stesse, per mostrarci epiche lotte in grado di abbagliarci.
 Nell'opera "Il palio", paragonai il Girola a Ray Harryhausen per capacità di creare incubi vivi, incubi capaci di muoversi non solo sul supporto artistico, ma nelle nostre stesse menti. Riconfermando quando detto all'epoca, in "Gladiatori contro Kaiju" saremo sottoposti a una fecondazione violenta in grado di generare nel nostro stesso essere la follia di quegli abomini.
 Il creatore che è il Girola, dopo aver generato un Mondo popolato da animali e mostri, non decise di riposare le sue membra il settimo giorno, bensì di istillare la sete di sangue in ognuna delle sue creatura, trasformando la Roma Imperiale in una giungla di ombre e lotte incessanti. Uomini, Kaiju e animali feroci che mesciano il loro sangue in un sidro che ci inebrierà in maniera sublime.

Happy Birthday Alessandro Girola: Godzilla Cake



Happy Birthday Alessandro Girola!!!







lunedì 23 novembre 2015

La Pupa e... l'Altro: Rita Calderoni in "Nuda per Satana" di Paolo Solvay.







     Il dottor William Benson (Stelio Candelli) percorre in auto le nebbiose e oscure strade della provincia inglese, quando improvvisamente vede una donna irta sulla strada. Dopo una brusca sterzata, egli scopre che il luogo è completamente deserto. Mentre sta per tornare alla sua automobile, un altro autista, Susan (Rita Calderoni), esce di strada con la sua vettura. William soccorre la donna priva di sensi, ponendola al sicuro nella sua auto. Il dottore cerca aiuto presso un castello che sorge nei paraggi.
 Tra polvere anallergica, maggiordomi sgozzati e capezzoli oculari, il dottore resta ammaliato da un quadro in cui è ritratta una donna fosforescente. Improvvisamente l'arredo della casa muta, risultando splendido splendente. Tra i ricchi addobbi appare Evelyn, sosia di Susan, e scambiata per questa dal dottore. Ella bacia passionalmente il sempre più confuso William, chiamandolo Peter e sostenendo di aspettarlo da molto tempo.
 Il dottore riflette su una spiegazione razionale di tali strani eventi, mentre continua a baciarla. Interrotta l'apnea, William cerca di interrogare la donna che risponde parlando marzullescamente di tempo, silenzio, morte e parentesi...
 All'alba, Susan si desta e si reca al castello, cercando William. Ella incontra un uomo, incrocio tra il mago Silvan e il Johnny Dorelli di "Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio", che la invita a entrare nel vetusto edificio. Il padrone di casa (James Harris) è dotato di uno sguardo che ha superato la frode pubblicitaria degli occhiali raggi X, esso è infatti in grado di spogliare completamente e realmente la donna guardata.




 Dopo questo intermezzo carneo, in cui Susan risulta ora vestita ora nuda, è naturale bere un drink come se nulla fosse, per poi  fare un bagno, riccamente esposto di genuflessioni oviniche, ed essere aiutati nella toelettatura creola...




 In quel mentre, William continua a sottostare alle fregole di  Evelyn, credendo che lo psicodramma possa aiutarla a riacquistare la memoria, persa a causa del trauma indotto dall'incidente. Ogni tentativo di comunicare naufraga a causa di una selezione percettiva particolarmente ormonale da parte della donna.
 William scopre casualmente che il fuoco è in grado di far fuggire a gambe levate la ninfomane d'epoca.




 Il sonno di Susan, agitata per un incontro roccambolesco con Peter, il sosia di William, viene allietato da immagini spirali con la serva mulatta. Anche quel sapore etnico presenta un retrogusto amaro... Destatasi, ella si aggira per i corridoi di un castello ove strani riti si compiono.




 Horror erotico visionario questo "Nuda per Satana" di Paolo Solvay, che sembra un'estremizzazione de "La casa stregata" di Corbucci, ma in realtà è precedente di ben otto anni. Interessante, in certi momenti, risulta la fotografia. Altre comunque sono le analisi della rubrica...
 La servetta variegata viene frustata per ben un minuto, con contorsionismo piacevole. Rita Calderoni riesce benissimo ad assumere il ruolo sia della meretrice sia della vittima. Paolo Solvay ne esalta soprattutto il lato edipico.
Numerose risultano le pose plastiche...




 La componente comica involontaria è esaltata da James Harris, con quel suo aspetto che ricorda, come già detto, il Dorelli del film di Sergio Martino. Momenti magici vengono regalati anche da Stelio Candelli, quando interpreta un ingrifato Peter, o da Renato Lupi nei panni di un maggiordomo demente e cane da guardia del diavolo.



giovedì 19 novembre 2015

Italia Violenta: Taranto e la guerra fratricida dei Modeo



Ricostruzione della strage della barberia avvenuta l'uno ottobre 1990 (Citta criminali: Taranto)


 Taranto è una città che presenta una morfologia particolare. Essa appare come un cuneo circondato su due lati dal mare, il Mar Piccolo e il Mar Grande. Il terzo lato del cuneo, ovvero la parte sud-orientale, presentava, oltre le mura greche, un territorio ricco di acquitrini, ossia la palude La Vela, la palude Erbara, la Salina Piccola e la Salina Grande. Quest'ultima, prima di essere bonificata in età napoleonica, si trasformava in inverno in un lago che permetteva alla popolazione della litoranea di raggiungere in barca il Mar Piccolo.
 Taranto era un vero e proprio fortino. Un fortino che ha resistito anche a quel processo di colonizzazione delle realtà criminali territoriali da parte delle tre mafie nazionali, a differenza di altre aree pugliesi, resesi poi indipendenti solo successivamente.
 Nonostante a Taranto fosse presente il più grande impianto siderurgico d'Europa,  il IV Centro Siderurgico Italsider (ora Ilva), la città conservò una criminalità tradizionale fino alla seconda metà degli anni '80. Gli introiti erano dati principalmente dal contrabbando di sigarette, dal pizzo, la così detta "protezione" imposta a itticoltori e mitilicoltori, dall'usura e dalle bische clandestine.
 Risultava assente una famiglia riconosciuta in base alle regole dell'onorata società, erano presenti invece piccoli gruppi e famiglie dedite a una specifica attività criminale. In questa forma di illegalità "rurale" muovevano i loro passi i quattro fratelli Modeo, ossia Antonio e i suoi fratellastri Gianfranco, Riccardo e Claudio Modeo. Su di loro dominava la figura di Cosima Ceci, madre di tutti e quattro i fratelli ma più legata agli ultimi tre, avuti con un padre diverso da quello con cui concepì Antonio, ma che venne comunque riconosciuto da questi.


I fratelli Gianfranco, Claudio e Riccardo Modeo.


 Abbiamo parlato di "protezione" imposta, a carico dei mitilicoltori, come forma di racket mimetizzato. Proprio il monopolio di tale "attività", saldamente in mano ai Modeo, porrà indirettamente le fondamenta dell'elevazione a "mafia tarantina" dell'organizzazione guidata dai figli di Cosima Ceci. Matteo Marrotta decise di contrastare la "protezione" dei Modeo fondando una cooperativa finalizzata alla vigilanza sulle coltivazioni dei mitili. La sua idea di opporsi alla criminalità attraverso una concorrenza legale sarà la causa della sua morte, avvenuta il 7 luglio 1985 nel quartiere periferico della Salinella. Gli autori dell'omicidio, Gianfranco e Riccardo Modeo, erano alla guida di una moto a volto scoperto, un messaggio plateale che si rivolterà contro di loro. Le dichiarazioni del cugino della vittima, presente durante l'omicidio, porteranno all'arresto dei due fratelli il 30 luglio 1985. Matteo La Gioia, questo il nome del testimone, verrà ucciso alcuni anni dopo.
 Reclusi nel carcere di Taranto, i due fratelli presero una decisione importantissima per la malavita locale, ma soprattutto per l'intera città di Taranto e per i suoi abitanti, la fondazione della "Famiglia Modeo", costituita e riconosciuta secondo le regola dell'onorata società. Gianfranco venne eletto "Capo Famiglia", Riccardo venne eletto "Capo Bastone" e Claudio "Capo Famiglia della Minore". Si ebbe quindi il passaggio da una delinquenza individuale a una criminalità organizzata.
 Come abbiamo visto nell'articolo dedicato al contrabbando di sigarette, risulta fondamentale che un'organizzazione criminale estenda il suo dominio su tutti le attività illegali presenti nel territorio di sua competenza. Questo non solo per aumentare le possibili entrate, ma anche per evitare di arricchire e rendere più forti amici che in futuro potrebbero diventare nemici della stessa organizzazione che ne ha permesso la crescita. Nella città di Taranto lo spaccio di droga era sempre stato un tabù, i tossici infatti erano costretti a recarsi a Bari o in provincia di Brindisi. Claudio Modeo, dopo la sua scarcerazione dal penitenziario di Nuoro, avvenuta il 19 dicembre del 1986, decise di far estendere le attività della famiglia anche nel traffico di stupefacenti e di aprire il mercato della droga nella città di Taranto.


Antonio Modeo, detto il "Messicano"


 Il coinvolgimento dei tre fratelli nel lo spaccio di droga aumentò i dissidi con il fratellastro Antonio. Antonio, detto il Messicano per aver fatto la comparsa in uno spaghetti western, era stato da giovane legato ai movimenti della sinistra extraparlamentare e aveva una visione "romantica" della criminalità, non accettava quindi di immischiarsi in attività che avrebbero ancor più sfruttato il proletariato. Questa visione rivoluzionaria della criminalità non gli impedirà comunque di essere uno dei criminali che più seppero sfruttare le possibilità di mimetismo imprenditoriale derivanti dalla presenza dell'Italsider.
  Il coinvolgimento del clan Modeo nello spaccio di droga, che avrebbe contribuito al finanziamento dell'organizzazione, portò contemporaneamente all'isolamento di Claudio. Appena usciti di prigione per decorrenza dei termini della carcerazione preventiva, avvenuta il 24 marzo 1989, Gianfranco e Riccardo scoprono che il fratello Claudio  si era impossessato di parte dei soldi dell'organizzazione, la gestione del narcotraffico fu posta sotto il controllo di Pulito Marino.
 Pulito Marino era un criminale di Pulsano (TA), dove gestiva una macelleria, che avrebbe scalato velocemente le gerarchie del clan Modeo. Il potere acquisito dal Pulito avrebbe ben presto indotto degli screzi all'interno dell'organizzazione criminale, soprattutto da parte del Gruppo di Taranto Vecchia, che non poteva accettare la sua esclusione dalla leadership in favore di un paesano.
 Altre incomprensioni sfoceranno in una gravissima scissione. Così come Claudio estese la sua influenza sul traffico di droga, così Salvatore De Vitis e Orlando D'Oronzo, sfruttando la permanenza in carcere dei fratelli Modeo, accrebbero il loro potere nel settore delle estorsioni. L'atto di ristabilire le gerarchie, attraverso una riduzione della tangente a carico di un imprenditore, da parte di Riccardo Modeo, causò l'uscita di De Vitis e D'oronzo dal clan di Gianfranco e Riccardo. I due decisero quindi di legare i loro nomi a quelli di Antonio il Messicano. Era la primavera del 1989, la fine della quiete e l'inizio della tempesta.




 Primo a cadere sotto i colpi derivanti dalla scissione primaverile è Costantino Turco, uomo del clan Modeo. Viene sospettato dell'omicidio Salvatore De Vitis. Il clan, attraverso Giovanni Orlando, ordina a Gregorio Cicala di uccidere il De Vitis. Il cicala finge di accettare l'incarico, ma torna sui suoi passi e fredda il committente, schierandosi quindi con il De Vitis, suo padrino di cresima. Il cicala sarà uno dei più importanti killer del gruppo De Vitis-Messicano
 Il clan Modeo risponde uccidendo Paolo De Vitis, padre di Salvatore e persona completamente estranea al mondo criminale tarantino. Le conseguenze di questo gesto privo di qualsiasi onore malavitoso non si fecero attendere. Lo stesso 20 agosto, Cosima Ceci, madre dei Modeo,  viene colpita con sei proiettili calibro 7.65. Muore dopo otto giorni dall'attentato eseguito da Cicala e Nicola De Vitis.
 L'omicidio della Ceci manifesta la rottura netta tra il Messicano e la sua famiglia, nucleo dominato e soggiogato dalla stessa Ceci. Un olocausto quindi fondamentale per l'inizio di quella guerra fratricida.




 Dopo la morte della Ceci, i fratelli Modeo decisero di allearsi con Salvatore Annacondia, leader indiscusso della criminalita nord barese e che abbiamo conosciuto nell'articolo dedicato al contrabbando di sigarette. Dopo l'arresto dei Modeo,
conseguente a un periodo di latitanza che ha termine il 3 aprile 1990 presso il bunker Montescaglioso (Matera), Pulito e Annacondia prenderanno le redini della Famiglia,  che andrà a occupare tutti i passaggi della filiera della droga. Taranto verrà inondata da un mare di eroina.
 La presenza dell'Italsider, della sede del Comando in Capo dell'Alto Ionio e del Canale d'Otranto della Marina Militare, delle scuole di addestramento reclute della Marina e dell'Aeronautica assicuravano un esercito di potenziali consumatori, senza contare l'alienazione vissuta dai giovani tarantini costretti a vivere in una città ad elevato tasso di disoccupazione e con una urbanizzazione che pare quasi finalizzata ad aumentarne il disagio e l'isolamento. Non a caso saranno proprio i quartiere periferici, come i Tamburi e la Salinella, a essere, oltre che terreno di coltura per le giovani leve, importantissimi punti di smercio della droga.
 Il fine di tutto ciò era aumentare in tutti i modi le entrate del clan, sia per sostenere le ingenti spese legali per la liberazione dei due fratelli, compreso un tentativo con la P2 di Gelli, sia per acquistare un arsenale di armi idoneo a sostenere il conflitto con il gruppo De Vitis-Messicano. La Famiglia si alleò, al fine di aumentare l'occupazione del territori e la sua potenza di fuoco, con la famiglia degli Appeso, con il clan di Francesco Di Bari e quello di Francesco Scarci.


L'attentato dinamitardo del 28 ottobre 1989 a carico di Claudio Modeo, da cui uscì illeso.

 Ormai a Taranto è guerra aperta e la città si trasforma nella Chicago degli anni '30. Gli affiliati ai due clan si sparano per strada incuranti dei passanti ed emergono personalità che spiccano per la loro efferatezza e crudeltà.
 Altro importante elemento del gruppo di fuoco dei Modeo era Alessandro Bozza, killer ed eliminatore. Suo era il metodo di distruzione del cadavere ponendolo sopra una pira di pneumatici cosparsi di benzina.
 Durante questi anni di mattanza numerose risultano le vittime innocenti. Tra queste ricordiamo Sandra Stranieri, uccisa mentre passeggiava con un'amica nel borgo cittadino; Angelo Carbotti, ucciso presso la rampa del Pronto Soccorso dell'ospedale, colpevole di avervi accompagnato la sorella incidentata di Cataldo Ricciardi, con cui verrà scambiato il povero venticinquenne; Ileana Palombella, di soli quattordici mesi, uccisa in un agguato insieme al padre.


Angelo Carbotti, il ragazzo ucciso per errore il 22 aprile del 1990


L'uccisione di Antonio Mondeo, avvenuta il 16 agosto 1990 per mano di Salvatore Annacondia, ha un elevato valore simbolico. "Manomozza", questo il soprannome del boss tranese, aveva sempre profetizzato l'importanza che un'organizzazione criminale estendesse i suoi tentacoli su tutte le attività illecite del proprio territorio. L'uccisione di colui che si oppose allo spaccio di droga rappresenta la vittoria di questo principio.
 La morte del Messicano e di Salvatore De Vitis, avvenuta il 7 maggio 1991, non permetteranno comunque il mantenimento del dominio su Taranto del clan Modeo. In una guerra originata dall'uccisione di un padre innocente, ma anche da quella di una madre legata agli uomini di entrambi i clan, non possono esistere regole o limiti. Proprio la crudeltà, ma anche l'uso di quelle droghe che tanto il clan cercò di diffondere, è alla base della strage della barberia, massacro avvenuto la sera dell'uno ottobre 1991 e che chiuse, con le sue sei vittime innocenti, gli anni della guerra a Taranto e dei suoi 169 morti.
 Giovanni Caforio, Cosimo Bianchi e Gaetano Fanelli, membri fedeli ai Modeo, effettuaronono una spedizione punitiva, sotto l'effetto di sostanza stupefacenti, ai danni di Antonio Martera e di Cosimo Cianciaruso, elementi di spicco del Gruppo di Taranto Vecchia, sempre più indipendente dalla Famiglia Modeo. Le due vittime designate frequentavano solitamente la barberia di Via Garibaldi, presso il Borgo Antico. I tre killer, senza controllare la presenza delle vittime, fecero fuoco dall'esterno del locale. La strage fu il colpo di coda di un clan indebolito dagli arresti, unico uomo libero, se pur latitante, era Francesco Di Bari. Il pentitismo e la collaborazione con la giustizia posero la pietra tombale sul clan Modeo.


Salvatore Annacondia, detto "Manomozza".


 Il libro "Taranto, tra pistole e ciminiere. Storia di una saga criminale" ( 264 pagine, 2011, I Libri di Icaro) è stato scritto da Nicolangelo Ghizzardi. Ghizzardi , attualmente magistrato di Cassazione con funzione di Procuratore della Repubblica Aggiunto presso il Tribunale di Brindisi, è stato sostituto procuratore al Tribunale di Taranto, dove ha sostenuto l'accusa contro gli uomini coinvolti nell'ascesa e nella caduta del clan Modeo.  Il magistrato ha collaborato alla puntata di "Città Criminali" che LA7 ha dedicato alla città di Taranto, puntata che si è aggiudicata il primo premio della fiction edita nella sezione "miglior documentario" al Roma Fiction Festival. Da questo documentario sono state tratte le foto dell'articolo.
 Il suo libro risulta fondamentale per comprendere l'evoluzione del gruppo Modeo a Famiglia criminale e di come quelle risorse atte alla crescita socio-economica di un territorio, in questo caso l'Italsider, diventino foraggio della criminalità più che della popolazione di quello stesso territorio.
 Ci piacerebbe dire che oggi a Taranto non si spara più, non possiamo farlo, ma possiamo dire che di certo a Taranto si spara di meno rispetto a quegli anni. Spesso nelle notizie di cronaca rispuntano i nomi della vecchia faida, ma ormai la mafia è quella dei colletti bianchi, come ha dimostrato il dissesto finanziario della città di Taranto e la corruzione che per anni è ruotata intorno all'Ilva e a molte personalità politiche del capoluogo ionico. Questa contaminazione della politica e dell'imprenditoria rischia inoltre di incentivare la disillusione ormai diffusa nella Città dei Due Mari, andando quindi a creare un alibi nell'aderenza a uno stile di vita malavitoso come unico mezzo di reazione ad un potere ipocrita ed egoista. Ciò costituirebbe la morte di quella così detta "Primavera di Taranto" che ha visto la città intera divenire parte attiva nella rivendicazione del suo diritto alla salute, indipendentemente dalla risoluzione governativa inerente il futuro del mostro che sorge alle porte del quartiere Tamburi e che continua inesorabilmente a uccidere.





lunedì 16 novembre 2015

Italia Violenta: "LaCapaGira" di Alessandro Piva






     E' notte. Un uomo attende all'interno di un furgone. Vede delle sagome sul litorale. Dei clandestini si muovono come zombie. Zombie che vengono divorati invece  che divorare. Trecentomila lire. Questo il prezzo per l'ingresso.
 E' l'alba. Odore della notte misto a sigarette e alcool. Tra gli immigrati clandestini c'è anche un po' di polvere. La cocaina deve viaggiare su un treno, per poi essere gettata dal finestrino nei pressi di una casa.
 Al biliardo di Sabino stanno fermi da tre giorni. Solo sigarette e gioco d'azzardo, con quei perdenti che ogni mattina escono dall'armadio, trasformato in passaggio segreto, dopo aver trascorso la notte con una dialisi inversa grazie ai video poker.
 Mentre il biliardo di Sabino è preso d'assedio da gente che spera di procurarsi un po' di coca, Minuicchio (Dino Abbrescia) e Pasquale (Paolo Sassanelli), i due debosciati dell'organizzazione, cercano una partita di droga che invece di uscire dal  finestrino è scivolata dallo scarico del cesso.
 Su tutto questo scenario si muove come uno squalo il boss della banda, Carrarmato (Mimmo Mancini), sempre di fretta e continuamente pronto a tirare la catena dei suoi uomini.
 L'attesa di Minuicchio e Pasquale è la parodia sballata del Didi e del Gogo, un carosello di interazioni annebbiate. Il Godot alla fine arriva, trascinato da due ragazzini più adulti e svegli di quei bambini di mezza età... 



 Lo stesso Carrarmato è lo specchio di molti piccoli malavitari. Boss, spesso di isolato più che di quartiere, che rappresentano la summa della recitazione e della creazione di un personaggio. Il suo sguardo e le sue pose silenziose sono il vero cemento del potere esercitato sugli altri. Sguardo da squalo che si attenua per farsi togliere una multa da 100.000 lire...



mercoledì 11 novembre 2015

"Quella villa in fondo al parco" di Giuliano Carnimeo





 Caraibi. Il dottor Olman (Pepito Guerra) genera un ibrido utilizzando il seme di un ratto e l'ovaio di una scimmia. Tale creatura abominevole è provvista, sotto le unghie e nei denti, di un potente veleno in grado di provocare una sorta di leptospirosi fulminante. Lo scienziato ha intenzione di portare il suo esperimento al convegno di biogenetica, ma improvvisamente la creatura riesce a fuggire.
 Rat Man (Nelson de la Rosa), questo il  nomignolo della creatura, raggiunge la spiaggia, che proprio in quel momento viene usata come scenografia per il servizio fotografico di due modelle, Marlis (Eva Grimaldi) e Peggy (Luisa Menon). Dopo la stupenda esibizione, Marlis rinviene il cadavere di un guardone che le stava spiando. Per evitare complicazioni, decidono di non segnalare il ritrovamento alla autorità del luogo.
 Peggy, mentre si reca a un appuntamento di lavoro, resta a terra con il taxi. Costretta a proseguire a piedi, assiste a un omicidio avvenuto in un'abitazione. Si rifugia all'interno di una casa, dove ascolta, nascosta nel buio, lo stridio della lama sul muro che si fa sempre più vicino. Troppo tardi, ella si accorge di essere finita tra le fauci di una creatura ancora più spaventosa.




 Sull'isola caraibica atterra Terry (Janet Agren), un'americana alla ricerca della sorella scomparsa, contattata dalle autorità locali che hanno rinvenuto il corpo di Peggy. La polizia non ha però effettuato i dovuti controlli, il corpo infatti non è quello della sorella di Terry, ossia di Marlis. Dopo i dovuti controlli, le autorità scoprono che Malis, insieme al suo manager, si è inoltrata nella giungla,  al fine di utilizzare un'ambientazione selvaggia per un nuovo servizio fotografico.
  Terry per fortuna non è del tutto sola, ha infatti conosciuto lo scrittore Fred Williams (Antonio Colonnello), giunto nei Caraibi per ritrovare l'ispirazione, può quindi godersi la vacanza in attesa del ritorno di Marlis. Fred non ha però il desiderio di languire su una sdraio, trascina infatti  Terry nell'indagine sulla morte di Peggy.


mercoledì 4 novembre 2015

Kara Lafayette - Cosa fare in città mentre aspetti di morire





 Le storie di "Cosa fare in città mentre aspetti di morire" sono storie visionarie, capaci di alterare la percezione del tuo stesso essere. Storie in grado di renderti un ammasso teratogeno innanzi al tuo narcisismo sfumato. Storie bizzarre ma anche reali. Come reale è la ginecofagia che regna in molte donne. Le loro bocche si tramutano in enormi tritacarne dai colori e dalle forme fiamminghe. Degli imbuti che riversano l'altrui dignità in budelli cloacali.
 Reali come reale risulta la malattia e il dolore. Come reale è l'emarginazione e l'alienazione dei posseduti contemporanei. Sono reali come quei fili che ella tende sulle nostre menti, facendoci percorrere un paesaggio di follia in cui non riusciremo a chiudere i nostri occhi, nutriti come larve da una regina sadica e crudele. Le storie di Kara Lafayette sono come i frammenti del rosone di una chiesa, che cadono taglienti su un pubblico estatico, volando come ironici e graziosi lepidotteri.




   Kara Lafayette riversa quantità industriali di acido in donne da una psiche inferma. Una psiche che a stento riesce a controllare un corpo alienato. La corporeità diviene la manifestazione lombrosiana di quei conflitti psicologici, lo specchio di un campo di battaglia che muove i suoi passi in un bagno isolato come in una via affollata.
 Tutto ciò viene amplificato da quel regno bipolare che è l'Alto Adige. Una terra in cui la psiche è rapita in una montagna russa, dove il ritmo emotivo e quello circadiano vengono shakerati dal dominio delle stagioni. 
 Più candida è una pagina, più essa sarà tagliente e capace di dissetarsi di sangue. Più delicato è un fiore, più esso inebrierà fino a un'ambulazione suicida. Così è Kara Lafayette.


Dino Valls


martedì 3 novembre 2015

Disponibile in download gratuito l'undicesimo numero del Tritacarne!!!





"Ingredienti ridotti e compressi nella sessantina di pagine che sostituiscono le oltre centoventi che solitamente vi davamo in pasto, partiamo quindi alla grande con François e Gianna che ci raccontano il PUTAN CLUB e Stefania Pedretti che ci conduce nel chaos attraverso il suo alter ego ?ALOS. come inizio direi che non potevamo cominciare meglio, ma anche il seguito non è da meno... diamo infatti spazio ad un'iniziativa che merita non solo appoggio ma anche tutta la visibilità possibile, stiamo parlando dei ragazzi di PADIGLIONE 25 che raccontano la psichiatria "da dentro" lasciando parlare chi ha lavorato a diretto contatto con l'emarginazione "sociale" dei manicomi. Tornando alla musica vi raccontiamo il libro dedicato alla "prismatica riviera del rock" dedicato al binomio Slego – Velvet e lo facciamo direttamente con due delle quattro mani che hanno scritto il volume vale a dire VALENTINA SECCI. Oltre alla recensione del libro di valentina trovano spazio anche quelli di GRAZIA VERASANI e ILARIA PALOMBA. A chiudere lo spazio letterario l'underground italiano raccontato in BLACK HOLE di TURI MESSINEO, insomma un bel pò di carta da leggere, cui aggiungiamo la nostra con ANTOLOGIA METROPOLITANA 2015 l'indigesta iniziativa curata dal nostro DAVIDE ROSSI padre fondatore di TOTEN SCHWAN che raccoglie il meglio del peggio dell'underground italico in un volume scaricabile gratuitamente. La riduzione degli spazi ci porta a rimandare alla prossima uscita alcune rubriche e collaborazioni che hanno fatto la (breve ma fortunata) storia del TRITACARNE come quelle dei due famigerati blogger LUCIUS ETRUSCUS e BEATI LOTOFAGI ma non quella di HANS PLASMA che dalla fredda Amsterdam ci parla dei Suicide e del loro omonimo album del 1977. Niente spazio per "il nostro odio quotidiano" e per Helena Velena ma parola a Maurizio di RISERVA INDIE di cui riprendiamo per intero l'articolo sull'inutile e inconcludente polemica intorno a Giovanni Lindo Ferretti di qualche settimana indietro. Avremmo voluto fare uno speciale sul BORDERLINE FESTIVAL ma abbiamo deciso di lasciarlo per il prossimo numero in modo da organizzarlo al meglio e non doverlo ridurre per motivi di spazio. prima dello spazio recensioni diamo la parola anche a STROSZEK che ci regala momenti di rassegnazione e autocommiserazione senza pari. dicevamo delle recensioni musicali, questo numero vi consigliamo di accaparrarvi i nuovi dischi di MARLAT, LAMBS, OLSO TAPES, SHE SAID DESTROY!, SIGNORINE TAYTITUC, HERO SHIMA, ASTOLFO SULLA LUNA, SURGICAL BEAT BROS, BOLOGNA VIOLENTA, ERYX LONDON, LOIA, ABATON, CARNERO, CLIMAX DENIAL, BRUME, THE SYMBOLIST, GOYA e THE DIRTY SUNDAY. siamo a buon punto anche per il quello che riguarda il prossimo numero con articoli sul Borderline come detto, sulla Exabyss Records di New York, parleremo inoltre con Rossella Bianchi sviscerando la sua vita e analizzando il suo bellissimo libro "in via del campo nascono i fiori", faremo un salto ad Osaka con NRVY a rovinarci le orecchie con il suo noisecore, e poi.. il resto lo saprete a tempo debito... per ora accontentatevi di quanto abbiamo messo dentro questo numero. buona lettura. adios..." (ToTeN ScHwAN)

Link per il download gratuito





domenica 1 novembre 2015

La Pupa e... l'Altro: Milf Royal Rumble con Patrizia Webley, Marina Hedman e Mariangela Giordano, ovvero dalla "Malabimba" a "La bimba di Satana" di Andrea Bianchi/Andrew White/Alan W. Cools.





"La Pupa e... l'Altro", rubrica frutto di supercazzola ed erotomania, analizza due opere del regista Andrea Bianchi alias Andrew White alias Alan W. Cools, ossia  "Malabimba" e "La bimba di Satana".


     La medium si contorce come una fiera ebbra di sangue. Sente una presenza. Le sue nari vibrano mentre i suoi occhi si espandono come per fagocitare ogni cosa.
<<Una donna!>> 
Cerca di resistere. I quadri cadono e le porte cigolano.
<<Non ti voglio!Vattene, mi fai paura!>>
 Urla. Come se fosse al cospetto di Satana in persona. Ormai è troppo tardi. Lo spirito la possiede. Le sue pupille vagano tra quei parenti che hanno difeso il cerchio fino alla nausea.
<<Pervertiti, ipocriti, mignotte. State inzozzando il nostro nome.>>
Non solo la medium, ma tutta la casa è ormai in suo potere. Ogni cosa vibra, si contorce, vola. I vestiti si strappano. La sua gola geme, ma ora di piacere.
 Un piano che suona. Lo spirito è libero. Vaga per la casa. Sale le scale. Le tende sipariano il suo cammino. La porta si spalanca nella stanza di Suor Sofia (Mariangela Giordano). Lei è terrorizzata. La gola. Le manca il fiato. Torna a respirare. Ora geme, travolta dal piacere. Improvvisamente si desta dal travaglio dei sensi. Scaccia quello spirito.
  Nuovamente libero, ripercorre i corridoi. Ora giunge da lei. Bimba (Katell Laennec) è terrorizzata. Cerca di nascondersi, ma non può nulla...




 Il giorno successivo trascorre tranquillo. Nessuno sospetta nulla di quanto avvenuto la notte scorsa. Suor Sofia continua ad assistente Adolfo, fratello paralitico di Andrea Caroli, tenutario del castello e padre di Bimba. Lei, così come la ragazzina, non fa menzione della drammatica esperienza. La seduta spiritica era stata voluta da Andrea, nella speranza di contattare Daniela, la moglie ormai deceduta. In realtà è stato evocato lo spirito di Lucrezia, una lontana antenata infuriata con i suoi discendenti ipocriti.
 Il casato è ormai in decadenza. La moglie di Adolfo, Nais (Patrizia Webley), è l'intestataria del patrimonio del marito. Proprio per questo Andrea viene assillato dalla madre per sposarla una volta che diventi vedova. In questo modo il denaro resterebbe in famiglia, permettendo di liberarsi da quelle ipoteche che gravano sul castello.
 Durante la cena la situazione muta. Bimba, raggiante nella sua bellezza, comincia a sproloquiare a tavola e a palpare le protuberanze domestiche... Rifugiatasi in camera sua, viene raggiunta prima da Suor Sofia, che fugge dopo essere stata esplorata e sputata, poi dal padre, con cui si scusa in lacrime.