mercoledì 17 dicembre 2014

Lo scrittore indipendente a galoppo nei Pascoli ormai indifeso tra la Verga suicida e i Troll spudorati.





    Nel numero 8 del Tritacarne ho paragonato gli autori di narrativa di genere ai nuovi sciamani. Ciò può esser vero soprattutto per coloro che non sollazzan nel Palazzo d'Inverno. Coloro che non giaccion infagottati tra le protettrici gambe dell'editoria meretrice. Ciò può valer soprattutto per gli autori indipendenti.


 Per loro risorge l'occhio puro del Pascoli. La vicinanza alla terra, così distante da templi saturi di mercanti, permette la contemplazione di una natura scevra da filtri obsoleti. Una natura che percuote le loro carni e che verga le loro menti. Un percorso iniziatico in cui la libertà da vincoli della produttività di massa esalta il candore dell'argilla plasmata.
 Il Pascoli. Il fanciullo. La purezza. Certo... Ma tra questi germogli di candore vi sono sempre grani sterili. Vi sono frutti mancati che fan tornar in mente le parole del Verga. Perché se la vicinanza alla terra e alla natura permette la contemplazione infinita delle sue meraviglie e miracoli, la sua asprezza riduce la soglia di sopravvivenza portando altri uomini ad un livello morale, o etico, molto vicino a quello dei nostri primitivi antenati. E come primitivi ci si comporta.
 L'asprezza derivante dalla propria incapacità empatica riflessa nelle opere. Asprezza che rende rabbiosi quegli scrittori disillusi per cui l'arte è sol un mezzo per sovrastar gli altri. La nuova "roba" non è più la terra posseduta, il palazzo nobiliare e lo stemma aristocratico. La nuova "roba" è la visibilità.
 Questi uteri sterili e snaturati si realizzan quindi non più co' l'opere, ma coi corpi di scrittori infamati e plagiati. Un'orgia di corpi su cui plasmare il proprio palco innalzato. Un olocausto al Dio della frustrazione nella purificazione dal pudore. Perché non vi può esser alcun pudore nel manifestar in tal maniera la propria nudità emotiva.
 Ma su questa collina di scrittori accusati e infamati voi, luridi antropofagi, non costruite quell'agognato tempio a voi dedicato. Dall'assenza di pudore all'assenza di vergogna il passo è breve, ciò che voi vedete come la Valle dei Templi è una paesaggio suicida. Su quella collina di Giusti sacrificati non un tempio avete edificato ma la vostra forca. Forca i cui gradini son stati percorsi dalla vostra stessa frustazione e superbia. Dalla vostra incapacità di creder. Di creder già non in un lurido dio protettore o in una ideologia di tutela collettiva. L'incapacità di creder in un individuo che non sia voi stessi. L'incapacità di veder l'arte brillare in chi non siete. L'incapacità di creder in un essere. In una fornace di idee e bellezza. In un big bang di creatività assoluta.

 Io vi osservo in attesa. Io vi osservo regolando l'orologio del mio campanile seguendo le vostre oscillazioni. Io vi osservo mentre Darwin sussurra parole d'amore e speranza...







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