L'etologo Marco Contrada si aggira per le selvagge e isolate foreste del Friuli. Dopo aver posizionato una trappola per volpi, lo scienziato controlla i dispositivi fotografici e le tracce lasciate dalla fauna eterogenea della zona.
Nella sua perlustrazione scopre che una volpe e stata catturata dalla trappola posta precedentemente. L'animale viene anestetizzato e monitorato mediante un collare provvisto di localizzatore e microcamera.
Le immagini trasmesse dalla telecamera mostrano l'esterno di un edificio. Le mura interrotte da delle grate su cui si affaccia un sotterraneo. Il portone in legno socchiuso. L'interno con gli zoccoli dei mobili che gravano come massicci di granito.
L'etologo si dirige verso la zona boschiva interna in cui è presente quel rudere. La pioggia comincia a velare il percorso compiuto dallo studioso.
La natura, prima idiliaca e screziata, mostra ora un aspetto mutato. Non solo più melanconico per quel cielo uggioso. E' come se iniziasse a sussurrare con il suo flebile respiro minaccioso. Se prima era una proiezione verso il cielo, la luce, con una scenografia convessa, ora sempra comprimere verso la terra con la sua flora concava, quasi sottoposta ad una distorsione grandangolare. Il complesso di ruderi rappresenta la giusta meta di questa metamorfosi.
La scena, in cui Contrada si ferma ad osservare gli edifici, ricorda molto quella de L'Esorcista dove padre Merrin si pone quasi a subodorare l'entità della casa.
Egli si aggira, all'interno della struttura, nello stesso modo in cui gli etologi interaggiscono con gli elementi dell'ambiente naturale. Scruta tutti i possibili indizzi riguardo al transito degli animali, e ai loro resti divorati, entro quell'insediamento abbandonato. Ma oltre alla non-alterazione, derivante da una approccio scientifico, vi è anche una non-alterazione morale verso il passato che resta sospeso e quasi friabile. Questa focalizzazione verso il particolare amplifica la sensazione di dispersione e di inquietudine, incentivata dalla rarefazione del tempo, nei confronti di quel labirinto domestico ormai fuso con il silvestre.
A poco a poco quel complesso rurale tenderà a chiudersi intorno al protagonista, avviluppandolo in un bozzo di suoni e movimenti. Cigolii e ombre. Un sistema di sostanza e vibrazioni che regge una cappa claustrofobica sospesa su Contrada. Un sistema in cui il concetto dello spazio aperto, inteso come libertà potenziale, è solo una difesa psichica. Proprio lo spazio aperto, in cui il regista gioca per un momento citando la clonicità e la verticalità di Raimi, rappresenta un elemento di maggiore compressione poiché più evidenzia il senso di isolamento e di esposizione.
La forza di Lorenzo Bianchini, oltre lo stimolare prevalentemente la sensazione rispetto alla conoscenza, è quella di usare la natura, intesa sia nel senso di ambiente inglobante sia nel senso di imprinting emozionale, come medium ancestrale. Il legame indissolubile tra individuo e terra, racchiuso nella spirale genetica in cui si staglia il profilo dei nostri paesaggi e del nostro folclore, vibra nelle membra dello spettatore.
1 commento:
Grazie mille Cassidy :) Il mio mucchio di film sta diventando un Titano dotato di vita propria grazie alle tue recensioni ;)
Posta un commento