venerdì 26 giugno 2015

La Pupa e... L'altro: Lilli Carati in "Le evase – Storie di sesso e di violenze" di Conrad Brueghel (Giovanni Brusadori).






     Alcune tenniste professioniste viaggiano in pullman, creando un'allegra composizione cosciaria che avanza lungo la SS 18.
 Contemporaneamente alcune detenute evadono dal carcere e si inoltrano lungo i vicoli del borgo montanaro guidate da Monica Hadler (Lilli Carati), una terrorista condannata per strage. Grazie al fratello di Monica riescono ad ottenere armi e un mezzo di trasporto, ma il giovane viene ferito in un conflitto a fuoco con due agenti della criminal police.
 Le detenute, dopo un incidente mancato con il pullman cosciaro, vengono accolte sul mezzo delle atlete, essendo l'auto inutilizzabile. Le modelle e l'autista restano un po' disorientati sia dalla ferita del fratello di Monica sia dagli sguardi espliciti di quelle strane ragazze leggermente infoiate.
 Il linguaggio pepato delle giovincelle, da poco inoscurate, di certo non aiuta l'interazione: "Ma da dove venite?" "Da un posto dove manderei una fighetta come te!"
 La radio dà il colpo di grazia e le sportive capiscono di avere come ospiti mobili una terrorista, una mezzana, un'assassina e una criminale. Ormai si può giocare a viso scoperto, le evase tirano fuori le pistole e prendono tutti in ostaggio. Grazie a una delle tenniste,  Terry (Ines Pellegrini), si rifugiano nella villa isolata di un magistrato. Le tenniste, insieme all'autista e al presidente del club, vengono rinchiuse in cantina. Da un ex-WIP classico si passa a un WIP rurale all'aroma tufaro.



 Tra le tenniste vi sono delle vere perle. Anna è interpretata da Zora Kerowa, attrice presente in moltissime opere di genere italiane, soprattutto dirette da Fulci.. E' la "sindacalista" del gruppo di sportive, pronta a reclamare condizioni migliori e a mediare in momenti di crisi. Ma si sa, in certe occasioni i sindacalisti ci mettono poco a salir sul cazzo...



 Un aroma multietnico viene dato dalla presenza di Ines Pellegrini, definiti la "Mangano Nera" da PPP. La confettina la ricordiamo infatti soprattutto per due film girati con il Maestro, ovvero "Il fiore delle mille e una notte" e "Salò o le 120 giornate di Sodoma". In quest'ultimo l'attrice interpreta la cenerentola nera causa della fucilazione del fascista rosso. In "Le evase – Storie di sesso e di violenze" è Terry, la collaborazionista borghese con aspirazioni rivoluzionarie. Proprio per questo verra schiaffeggiata all'urlo: <<Bastarda di una negra!>>. Si sarebbe potuta sfruttare una deriva blaxploitation...
 Il suo aspetto fa comprendere la funzione asessuata del suo ruolo.



Altra tennista che assorbirà molti rovesci è Patrizia Funari che interpreta Claudine, la tennista-infermiera di cui parleremo tra un po'.



 Lilli Carati si impone come capobranco sulle altre recluse, guidata dalla sua ideologia socialista e dall'odio verso le istituzioni. Si instaurerà un simpatico rapporto tra lei e il magistrato, riproponendo quell'elettrico confronto-scontro tanto in voga in quegli anni. L'elemento erotico, contemporaneamente, sarà molto manifesto, soprattutto da parte del magistrato che in cuor suo fischietta "Alle compagne non far sapere...".



martedì 23 giugno 2015

"Il mulino delle donne di pietra" di Giorgio Ferroni





     Lo studente Hans von Harnmen (Pierre Brice) raggiunge il villaggio olandese di Veeze per conoscere lo scultore Gregorius Wahl. L'artista abita al Mulino delle Donne di Pietra, posto al di là del cimitero di Veeze.
 La nebbia e i mulini, che si stagliano verso il cielo tenebroso ma anche, grazie ai giochi della rifrazione, verso i fondali di quei corsi d'acqua, contribuiscono a rendere suggestivo il suo viaggio.
 Non appena giunto al mulino, lugubre e vetusto come un castello gotico, viene sferzato dai gemiti inquietanti di una donna. A questi suoni si associa la vista di sculture agghiaccianti, come di vittime raggelate nelle pose più strazianti.
 Nulla però risulta sconvolgente come il carillon che si ravviva innanzi a lui grazie al vento e al movimento delle pale. L'ingresso del professor Wahl interrompe le evoluzioni delle statue. Proprio lo studio di quell'opera, che il professore ha ereditato dal suo bisnonno, ha condotto lo studente a quel mulino. Von Harnmen deve infatti curare la monografia del carillon in maniera tale che venga pubblicata per il  centenario della sua prima esposizione al pubblico.
 In quel mulino non vi è solo il professor Wahl, insieme alla governante Selma e al factotum Conran. In quell'edificio, museo delle angosce rese inanimate attraverso l'arte scultorea, si muove una ragazza in cui l'angoscia è viva e gemente. Lei è Elfi Wahl (Scilla Gabel), la figlia del dottor Wahl.
 Elfi è malata. Malata dello stesso morto che ha ucciso la madre. In lei ogni emozione può esser fatale.  Ma Elfi è l'emozione. Lei è l'essenza dei moti dell'animo che quasi la possiedono, conferendole quella bellezza primordiale delle antiche deità silvestri. Passioni che la posseggono e l'abbandonano, lasciandola immota e silente dopo averle rubato l'ultimo calice d'aria.
 Questa continua necessita di cure e assistenza spiegano la presenza nella casa del Dott. Loren Bohlem (Wolfgang Preiss).




  La tensione spesso si dipana grazie all'inserimento di scene spensierate e goliardiche, tipiche della vita degli studenti universitari. Questa luce però non fa che rinvigorire l'oscurità di quel luogo, quasi gelosa del terreno ceduto.





 Ogni statua di quel meccanismo è una tortura psichica. Ogni statua si inserisce in una processione in cui il calvario viene proiettato sullo spettatore.
 La scenografia origina una struttura metafisica su cui vagano i personaggi dell'opera, divenendo essi stessi elementi di arte surrealista, attiva non solo grazie alla loro corporeità. I loro teatri inconsci andranno infatti a fondersi con quel paesaggio meccanico e scultoreo.
Ogni stanza, ogni porta, rappresenta un abisso che squarcia il velo della realtà, inondando la capacità umana di comprendere l'ignoto. Un sipario strappato sull'impossibile.
 Le scene sono scolpite, dipinte, come lastre cerebrali che lottano per riemergere, straziando la mente di von Harnmen le cui urla non fanno che distorcer ancor più quei veli di consapevolezza.





venerdì 19 giugno 2015

La Pupa e... l'Altro: Macha Magall in "La Bestia in Calore" di Luigi Batzella.




     La dottoressa Kratsch (Macha Magall) somministra l'ultima dose di tebotrixina alla cavia umana di un esperimento particolare.  Un esperimento il cui risultato sarà la creazione artificiale di una razza di superuomini, orgoglio del Terzo Reich, in grado di far impallidire il grande dio Eros. A tal sublime causa vien innalzato l'olocausta di una vergine scelta accuratamente in un paradiso di trenta giovenche. L'ignuda donna alla vista della primitiva bestia dibatte le sue carni, ben tese ma trattenute da braccia uncinate.
 La bestia è interpretata dal molossoide Salvatore Baccaro, per comprensione dei pagani è l'attore che ha data il capoccione all'autista dell'autobus in "Pierino colpisce ancora", oltre a numerosissimi altri ruoli in commedie all'italiana, spaghetti western, thriller e ulteriori exploitation. Il Baccaro, inquietante già vestito, a pelle libera ma pelosa risulta particolarmente agghiacciante. L'accoppiamento avviene direttamente nel pagliericcio della gabbia, con cornamuse di grugniti e sanguinaccio orale.
 Mentre i nazisti giocano con la genetica e le penetrazioni episiotomiche, i puri partigiani compiono un'assalto dinamitardo alla rete ferroviaria, poco velato riferimento psicoanalitico alla repressione della sessualità nell'ideologia marxista-leninista.
 Quest'atto di sabotaggio, nei confronti del regime, scatena la reazione del capitano Hardinghauser. Ma a chi rivolgere la vendetta teutonica, visto che in paese sono rimasti solo anziani, donne e bambini? Provate a indovinare...
 Durante la razzia di giovani donne avvengono atti che farebbero impallidire i padri del genere exploitation. Luigi Batzella fa proprie certe folli testimonianze della sacra inquisizione, riguardo a riti che furono dei Catari e dei Giudei, riproponendole in salsa nazista. Vedremo infatti i soldati strappare un neonato dalle mani della nonna, gettarlo in aria e trivellarlo con raffiche di mitra. La sorellina piangente viene anch'essa prelevata dai crucchi per utilizzo creativo negli interrogatori.


La povera bimba dopo la minaccia di essere scorticata viva...
 
 Lo meschino intento non porta alcun risultato. Hardinghauser è costretto a chiedere l'intervento della dottoressa Kratsch e del suo sistema "caratteristicamente femminile", basato sulla dolcezza e lo stimolo sessuale!  Del resto basta guardarla per essere stimolati...




martedì 16 giugno 2015

"Lo strano vizio della signora Wardh" di Sergio Martino






     Un uomo si apparta in auto con una prostituta. Il riflesso della lama. Il sangue che riga mentre un aereo disperde le ultime grida.
 Proprio al vicino aeroporto atterrano i coniugi Wardh. Nuovamente a terra, nuovamente da sola. Julie Wardh raggiunge in taxi una Vienna resa cupa da quell'assassino armato di rasoio, mentre i tergicristalli quasi la cullano in un trance ipnotico.
Flashback. Il ricordo di un rapporto violento. Sotto la pioggia. I vestiti strappati. Il terreno bagnato tra effluvi umorali. Il dolore e il piacere.

 Il ricordo ormai persiste anche grazie a elementi che emergono nella realtà, elementi legati al suo ex-amante e a quella morsa di carne e passione. Lei è in perenne tensione. La sua paura di vederlo ovunque. La paura che egli possa apparire in qualsiasi momento. Fino al fatidico incontro, interrotto dal sopraggiungere di Mr Wardh. Proprio al marito lei dice:
"Ti prego, lascialo andare. Tu non sai come è Jean.  A lui piace fare del male agli altri."

A questa frase segue una delle sequenze più belle del film. Il misto di dolore, paura, piacere e sangue, racchiude la passione della signora Wardh e, contemporaneamente, pone un ponte tra l'opera di Martino e una delle fonti ispiratrici, ovvero "Bella di Giorno". Lo sguardo dell'estasi verso il calvario agognato e quell'uomo che si erge come un iceberg ormai svelato.





martedì 9 giugno 2015

Gianluca Santini - Scorci dell'apocalisse





     Dall’Asia si diffonde la Pandemia Gialla, a causa del prione di Lee-Chang che trasforma gli infetti in pazzi ematofagi dalla pelle itterica. Solo pochi Stati riescono a sopravvivere al dilagare del morbo, il resto del mondo crolla. In questo scenario apocalittico alcune persone continuano a vivere.


     Gianluca Santini, in Scorci dell'apocalisse, disegna un percorso ad ostacoli in cui la follia dell'uomo si fonde con l'istinto di morte dei Gialli. E' come se entrambi collaborassero in un collettivo artistico ove la carne diviene la materia prima della rappresentazione creativa. Ma Santini pone un altro baluardo innanzi alla possibilità di sopravvivenza dell'uomo. Non solo predoni, pazzi, sadici e Gialli. La resistenza all'adattamento, elemento tanto agognato da uno dei personaggi e base per una possibile evoluzione, viene proprio dall'interno. Ricordi, affetti, solitudine... La vera battaglia è con se stessi. Limiti di un animale sociale innanzi alla disperazione e all'affiorare di istinti primordiali, in un conflitto interiore squarciante come quelle fauci affamate. Un mix che erode lentamente come se si affacciasse il terrore di essere l'ultimo uomo sulla terra.

sabato 6 giugno 2015

Progetto Antologia Metropolitana da TotenSchwan





 Segnaliamo con molto piacere il comunicato degli amici di TotenSchwan. Per maggiori chiarimenti fate riferimento all'email indicata.


     "ATTENZIONE A TUTTI PERFAVORE...L'idea è quella di raccogliere materiale scritto per comporre un'antologia metropolitana, piccoli racconti, poesie, frasi, pensieri, disegni e qualsiasi cosa utile all'obiettivo. Alla fine stamperemo con una nota biografica per ognuno. Chi è in possesso di materiale e vuole partecipare al progetto è pregato di mandare una bio, una foto (facoltativa) e il materiale a totenschwan@gmail.com , chiaramente la cosa è aperta a chiunque, percui se volete spargete pure la voce.Grazie." Davide & Werner Swan


Darek Blatta

giovedì 4 giugno 2015

"L'isola degli uomini pesce" di Sergio Martino, tra gli abissi dell'anima e gli abissi del mare.





     Una scialuppa è sospesa sulle acque dell'Atlantico con il suo carico di disperazione. Una scialuppa di salvataggio su cui una nave, diretta alle prigioni della Caienna, ha vomitato il suo carico di carne e anime putride.
 In una nebbia che eclissa qualsiasi luce, la scialuppa viene misteriosamente trainata contro la scogliera di un'isola. I naufraghi, nel disperato tentativo di restare a galla, vengono decimati da una creatura acquatica.
 Sopravvivono al naufragio, e soprattutto al massacro, il tenente Claude De Ross (Claudio Cassinelli) e quattro detenuti, ovvero José, François, Peter e Skip.
 Tra assalti degli uomini pesce e trappole, restano in vita solo Claude, José e Peter. Questi raggiungono la villa del ricco Ernest Marvin, dove vive anche l'affascinante Amanda Marvin (Barbara Bach).
 In quell'isola i naufraghi andranno ad inserirsi in un fitto tessuto costituito da legami arcaici e misterici, ma anche in conflitti emotivi mai risolti e ormai tesi all'inverosimile.
 L'inizio del film sembra quasi omerico. Claudio Casinelli incarna perfettamente il ruolo dell'eroe di Itaca, colpito da un'ammutinamento, e successivamente da un naufragio, nel tentativo di tornare a casa. La sua statura morale è manifesta sin da subito, al di là del titolo di tenente.




 Si sfocia, una volta giunti a terra, alla rappresentazione inquietante del romanzo di avventura del XVIII secolo, ma pepandola con la costruzione, lenta e inesorabile, di un percorso arricchito da quelle scenografie che furono di "Ultimo mondo cannibale" e che saranno di "Cannibal Holocaust", già da lui utilizzate ne "La Montagna del Dio Cannibale". In questi giochi di suggestione Sergio Martino è un maestro.
  Abbiamo parlato di conflitti emotivi. Mr. Marvin appare come uno strano aristocratico sudista post riunificazione. Il suo rapporto con la governante Shakira, interpretata da una magnifica Beryl Cunningham, evidenzia subito una sfumatura nascosta. Celata. Chi è il servo? Chi è il padrone? Denaro o erotismo? Magia o potere terreno?




lunedì 1 giugno 2015

Peter Clines - Ex. Supereroi Vs Zombie






     Gli ex! No, non stiamo parlano di un'orda di angry holes o toyboys abbandonati e disperati. No, non stiamo parlando di stalker coalizzati in cooperative. Gli ex sono gli ex-vivi, la ex-gente. Gli ex sono i non morti. Gli ex sono gli affamati zombie che hanno invaso ogni angolo della terra.

 Los Angeles. Gli studi cinematografici, che venivano usati come cassa di risonanza del Sogno Americano o come amplificatore catartico degli incubi e dei desideri più profondi, diventano la gabbia dei sopravvissuti all'epidemia zombie. Delle scatole in cui ora è la claustrofobia a essere proiettata in maniera esponenziale, divenendo un narcotico all'orrore che cammina al di fuori delle mura di cinta.
 Come in tutte le comunità post-apocalittiche, le attività principali sono la difesa del territorio e l'approvvigionamento di tutti quei beni che non possono essere prodotti all'interno. Le spedizioni rappresenteranno uno squarcio di azione e terrore su quelle mura difensive. Il  viaggio allucinante in una scenografia che Clines cura come un vetrinista necrofilo.
 Le diverse opere, letterarie ma soprattutto cinematografiche, ci hanno sempre mostrato il continuio scambio di vite e beni che si verifica nelle missioni di recupero attuate dai sopravvissuti. Ma in Ex. Supereroi Vs Zombie tutto è pepato e anfetaminizzato dall'originale presenza di supereroi nel contesto di una zombie apocalypse, elemento inaugurato in Marvel Zombies.
 La terra, ben prima dell'epidemia zombie, ha visto la comparsa di esseri altrettanto misteriosi. I super hanno cominciato a percorrere le oscure strade solcate dal crimine e dalla violenza, attuando un tirocinio improvvisato e finalizzato a comprender l'utilizzo dei propri poteri e del proprio ruolo all'interno di una società a un passo dalla lisi generalizzata dell'emotività. Ora la sopravvivenza dell'uomo è nelle mani di questi eroi moderni, posti a guardia di quel fortino di ex-studi che prende il nome di Montagna.