Ricostruzione della strage della barberia avvenuta l'uno ottobre 1990 (Citta criminali: Taranto) |
Taranto è una città che presenta una morfologia particolare. Essa appare come un cuneo circondato su due lati dal mare, il Mar Piccolo e il Mar Grande. Il terzo lato del cuneo, ovvero la parte sud-orientale, presentava, oltre le mura greche, un territorio ricco di acquitrini, ossia la palude La Vela, la palude Erbara, la Salina Piccola e la Salina Grande. Quest'ultima, prima di essere bonificata in età napoleonica, si trasformava in inverno in un lago che permetteva alla popolazione della litoranea di raggiungere in barca il Mar Piccolo.
Taranto era un vero e proprio fortino. Un fortino che ha resistito anche a quel processo di colonizzazione delle realtà criminali territoriali da parte delle tre mafie nazionali, a differenza di altre aree pugliesi, resesi poi indipendenti solo successivamente.
Nonostante a Taranto fosse presente il più grande impianto siderurgico d'Europa, il IV Centro Siderurgico Italsider (ora Ilva), la città conservò una criminalità tradizionale fino alla seconda metà degli anni '80. Gli introiti erano dati principalmente dal contrabbando di sigarette, dal pizzo, la così detta "protezione" imposta a itticoltori e mitilicoltori, dall'usura e dalle bische clandestine.
Risultava assente una famiglia riconosciuta in base alle regole dell'onorata società, erano presenti invece piccoli gruppi e famiglie dedite a una specifica attività criminale. In questa forma di illegalità "rurale" muovevano i loro passi i quattro fratelli Modeo, ossia Antonio e i suoi fratellastri Gianfranco, Riccardo e Claudio Modeo. Su di loro dominava la figura di Cosima Ceci, madre di tutti e quattro i fratelli ma più legata agli ultimi tre, avuti con un padre diverso da quello con cui concepì Antonio, ma che venne comunque riconosciuto da questi.
Abbiamo parlato di "protezione" imposta, a carico dei mitilicoltori, come forma di racket mimetizzato. Proprio il monopolio di tale "attività", saldamente in mano ai Modeo, porrà indirettamente le fondamenta dell'elevazione a "mafia tarantina" dell'organizzazione guidata dai figli di Cosima Ceci. Matteo Marrotta decise di contrastare la "protezione" dei Modeo fondando una cooperativa finalizzata alla vigilanza sulle coltivazioni dei mitili. La sua idea di opporsi alla criminalità attraverso una concorrenza legale sarà la causa della sua morte, avvenuta il 7 luglio 1985 nel quartiere periferico della Salinella. Gli autori dell'omicidio, Gianfranco e Riccardo Modeo, erano alla guida di una moto a volto scoperto, un messaggio plateale che si rivolterà contro di loro. Le dichiarazioni del cugino della vittima, presente durante l'omicidio, porteranno all'arresto dei due fratelli il 30 luglio 1985. Matteo La Gioia, questo il nome del testimone, verrà ucciso alcuni anni dopo.
Reclusi nel carcere di Taranto, i due fratelli presero una decisione importantissima per la malavita locale, ma soprattutto per l'intera città di Taranto e per i suoi abitanti, la fondazione della "Famiglia Modeo", costituita e riconosciuta secondo le regola dell'onorata società. Gianfranco venne eletto "Capo Famiglia", Riccardo venne eletto "Capo Bastone" e Claudio "Capo Famiglia della Minore". Si ebbe quindi il passaggio da una delinquenza individuale a una criminalità organizzata.
Come abbiamo visto nell'articolo dedicato al contrabbando di sigarette, risulta fondamentale che un'organizzazione criminale estenda il suo dominio su tutti le attività illegali presenti nel territorio di sua competenza. Questo non solo per aumentare le possibili entrate, ma anche per evitare di arricchire e rendere più forti amici che in futuro potrebbero diventare nemici della stessa organizzazione che ne ha permesso la crescita. Nella città di Taranto lo spaccio di droga era sempre stato un tabù, i tossici infatti erano costretti a recarsi a Bari o in provincia di Brindisi. Claudio Modeo, dopo la sua scarcerazione dal penitenziario di Nuoro, avvenuta il 19 dicembre del 1986, decise di far estendere le attività della famiglia anche nel traffico di stupefacenti e di aprire il mercato della droga nella città di Taranto.
Il coinvolgimento dei tre fratelli nel lo spaccio di droga aumentò i dissidi con il fratellastro Antonio. Antonio, detto il Messicano per aver fatto la comparsa in uno spaghetti western, era stato da giovane legato ai movimenti della sinistra extraparlamentare e aveva una visione "romantica" della criminalità, non accettava quindi di immischiarsi in attività che avrebbero ancor più sfruttato il proletariato. Questa visione rivoluzionaria della criminalità non gli impedirà comunque di essere uno dei criminali che più seppero sfruttare le possibilità di mimetismo imprenditoriale derivanti dalla presenza dell'Italsider.
Il coinvolgimento del clan Modeo nello spaccio di droga, che avrebbe contribuito al finanziamento dell'organizzazione, portò contemporaneamente all'isolamento di Claudio. Appena usciti di prigione per decorrenza dei termini della carcerazione preventiva, avvenuta il 24 marzo 1989, Gianfranco e Riccardo scoprono che il fratello Claudio si era impossessato di parte dei soldi dell'organizzazione, la gestione del narcotraffico fu posta sotto il controllo di Pulito Marino.
Pulito Marino era un criminale di Pulsano (TA), dove gestiva una macelleria, che avrebbe scalato velocemente le gerarchie del clan Modeo. Il potere acquisito dal Pulito avrebbe ben presto indotto degli screzi all'interno dell'organizzazione criminale, soprattutto da parte del Gruppo di Taranto Vecchia, che non poteva accettare la sua esclusione dalla leadership in favore di un paesano.
Altre incomprensioni sfoceranno in una gravissima scissione. Così come Claudio estese la sua influenza sul traffico di droga, così Salvatore De Vitis e Orlando D'Oronzo, sfruttando la permanenza in carcere dei fratelli Modeo, accrebbero il loro potere nel settore delle estorsioni. L'atto di ristabilire le gerarchie, attraverso una riduzione della tangente a carico di un imprenditore, da parte di Riccardo Modeo, causò l'uscita di De Vitis e D'oronzo dal clan di Gianfranco e Riccardo. I due decisero quindi di legare i loro nomi a quelli di Antonio il Messicano. Era la primavera del 1989, la fine della quiete e l'inizio della tempesta.
Primo a cadere sotto i colpi derivanti dalla scissione primaverile è Costantino Turco, uomo del clan Modeo. Viene sospettato dell'omicidio Salvatore De Vitis. Il clan, attraverso Giovanni Orlando, ordina a Gregorio Cicala di uccidere il De Vitis. Il cicala finge di accettare l'incarico, ma torna sui suoi passi e fredda il committente, schierandosi quindi con il De Vitis, suo padrino di cresima. Il cicala sarà uno dei più importanti killer del gruppo De Vitis-Messicano
Il clan Modeo risponde uccidendo Paolo De Vitis, padre di Salvatore e persona completamente estranea al mondo criminale tarantino. Le conseguenze di questo gesto privo di qualsiasi onore malavitoso non si fecero attendere. Lo stesso 20 agosto, Cosima Ceci, madre dei Modeo, viene colpita con sei proiettili calibro 7.65. Muore dopo otto giorni dall'attentato eseguito da Cicala e Nicola De Vitis.
L'omicidio della Ceci manifesta la rottura netta tra il Messicano e la sua famiglia, nucleo dominato e soggiogato dalla stessa Ceci. Un olocausto quindi fondamentale per l'inizio di quella guerra fratricida.
Dopo la morte della Ceci, i fratelli Modeo decisero di allearsi con Salvatore Annacondia, leader indiscusso della criminalita nord barese e che abbiamo conosciuto nell'articolo dedicato al contrabbando di sigarette. Dopo l'arresto dei Modeo,
conseguente a un periodo di latitanza che ha termine il 3 aprile 1990 presso il bunker Montescaglioso (Matera), Pulito e Annacondia prenderanno le redini della Famiglia, che andrà a occupare tutti i passaggi della filiera della droga. Taranto verrà inondata da un mare di eroina.
La presenza dell'Italsider, della sede del Comando in Capo dell'Alto Ionio e del Canale d'Otranto della Marina Militare, delle scuole di addestramento reclute della Marina e dell'Aeronautica assicuravano un esercito di potenziali consumatori, senza contare l'alienazione vissuta dai giovani tarantini costretti a vivere in una città ad elevato tasso di disoccupazione e con una urbanizzazione che pare quasi finalizzata ad aumentarne il disagio e l'isolamento. Non a caso saranno proprio i quartiere periferici, come i Tamburi e la Salinella, a essere, oltre che terreno di coltura per le giovani leve, importantissimi punti di smercio della droga.
Il fine di tutto ciò era aumentare in tutti i modi le entrate del clan, sia per sostenere le ingenti spese legali per la liberazione dei due fratelli, compreso un tentativo con la P2 di Gelli, sia per acquistare un arsenale di armi idoneo a sostenere il conflitto con il gruppo De Vitis-Messicano. La Famiglia si alleò, al fine di aumentare l'occupazione del territori e la sua potenza di fuoco, con la famiglia degli Appeso, con il clan di Francesco Di Bari e quello di Francesco Scarci.
Ormai a Taranto è guerra aperta e la città si trasforma nella Chicago degli anni '30. Gli affiliati ai due clan si sparano per strada incuranti dei passanti ed emergono personalità che spiccano per la loro efferatezza e crudeltà.
Altro importante elemento del gruppo di fuoco dei Modeo era Alessandro Bozza, killer ed eliminatore. Suo era il metodo di distruzione del cadavere ponendolo sopra una pira di pneumatici cosparsi di benzina.
Durante questi anni di mattanza numerose risultano le vittime innocenti. Tra queste ricordiamo Sandra Stranieri, uccisa mentre passeggiava con un'amica nel borgo cittadino; Angelo Carbotti, ucciso presso la rampa del Pronto Soccorso dell'ospedale, colpevole di avervi accompagnato la sorella incidentata di Cataldo Ricciardi, con cui verrà scambiato il povero venticinquenne; Ileana Palombella, di soli quattordici mesi, uccisa in un agguato insieme al padre.
L'uccisione di Antonio Mondeo, avvenuta il 16 agosto 1990 per mano di Salvatore Annacondia, ha un elevato valore simbolico. "Manomozza", questo il soprannome del boss tranese, aveva sempre profetizzato l'importanza che un'organizzazione criminale estendesse i suoi tentacoli su tutte le attività illecite del proprio territorio. L'uccisione di colui che si oppose allo spaccio di droga rappresenta la vittoria di questo principio.
La morte del Messicano e di Salvatore De Vitis, avvenuta il 7 maggio 1991, non permetteranno comunque il mantenimento del dominio su Taranto del clan Modeo. In una guerra originata dall'uccisione di un padre innocente, ma anche da quella di una madre legata agli uomini di entrambi i clan, non possono esistere regole o limiti. Proprio la crudeltà, ma anche l'uso di quelle droghe che tanto il clan cercò di diffondere, è alla base della strage della barberia, massacro avvenuto la sera dell'uno ottobre 1991 e che chiuse, con le sue sei vittime innocenti, gli anni della guerra a Taranto e dei suoi 169 morti.
Giovanni Caforio, Cosimo Bianchi e Gaetano Fanelli, membri fedeli ai Modeo, effettuaronono una spedizione punitiva, sotto l'effetto di sostanza stupefacenti, ai danni di Antonio Martera e di Cosimo Cianciaruso, elementi di spicco del Gruppo di Taranto Vecchia, sempre più indipendente dalla Famiglia Modeo. Le due vittime designate frequentavano solitamente la barberia di Via Garibaldi, presso il Borgo Antico. I tre killer, senza controllare la presenza delle vittime, fecero fuoco dall'esterno del locale. La strage fu il colpo di coda di un clan indebolito dagli arresti, unico uomo libero, se pur latitante, era Francesco Di Bari. Il pentitismo e la collaborazione con la giustizia posero la pietra tombale sul clan Modeo.
Il libro "Taranto, tra pistole e ciminiere. Storia di una saga criminale" ( 264 pagine, 2011, I Libri di Icaro) è stato scritto da Nicolangelo Ghizzardi. Ghizzardi , attualmente magistrato di Cassazione con funzione di Procuratore della Repubblica Aggiunto presso il Tribunale di Brindisi, è stato sostituto procuratore al Tribunale di Taranto, dove ha sostenuto l'accusa contro gli uomini coinvolti nell'ascesa e nella caduta del clan Modeo. Il magistrato ha collaborato alla puntata di "Città Criminali" che LA7 ha dedicato alla città di Taranto, puntata che si è aggiudicata il primo premio della fiction edita nella sezione "miglior documentario" al Roma Fiction Festival. Da questo documentario sono state tratte le foto dell'articolo.
Il suo libro risulta fondamentale per comprendere l'evoluzione del gruppo Modeo a Famiglia criminale e di come quelle risorse atte alla crescita socio-economica di un territorio, in questo caso l'Italsider, diventino foraggio della criminalità più che della popolazione di quello stesso territorio.
Ci piacerebbe dire che oggi a Taranto non si spara più, non possiamo farlo, ma possiamo dire che di certo a Taranto si spara di meno rispetto a quegli anni. Spesso nelle notizie di cronaca rispuntano i nomi della vecchia faida, ma ormai la mafia è quella dei colletti bianchi, come ha dimostrato il dissesto finanziario della città di Taranto e la corruzione che per anni è ruotata intorno all'Ilva e a molte personalità politiche del capoluogo ionico. Questa contaminazione della politica e dell'imprenditoria rischia inoltre di incentivare la disillusione ormai diffusa nella Città dei Due Mari, andando quindi a creare un alibi nell'aderenza a uno stile di vita malavitoso come unico mezzo di reazione ad un potere ipocrita ed egoista. Ciò costituirebbe la morte di quella così detta "Primavera di Taranto" che ha visto la città intera divenire parte attiva nella rivendicazione del suo diritto alla salute, indipendentemente dalla risoluzione governativa inerente il futuro del mostro che sorge alle porte del quartiere Tamburi e che continua inesorabilmente a uccidere.
Nonostante a Taranto fosse presente il più grande impianto siderurgico d'Europa, il IV Centro Siderurgico Italsider (ora Ilva), la città conservò una criminalità tradizionale fino alla seconda metà degli anni '80. Gli introiti erano dati principalmente dal contrabbando di sigarette, dal pizzo, la così detta "protezione" imposta a itticoltori e mitilicoltori, dall'usura e dalle bische clandestine.
Risultava assente una famiglia riconosciuta in base alle regole dell'onorata società, erano presenti invece piccoli gruppi e famiglie dedite a una specifica attività criminale. In questa forma di illegalità "rurale" muovevano i loro passi i quattro fratelli Modeo, ossia Antonio e i suoi fratellastri Gianfranco, Riccardo e Claudio Modeo. Su di loro dominava la figura di Cosima Ceci, madre di tutti e quattro i fratelli ma più legata agli ultimi tre, avuti con un padre diverso da quello con cui concepì Antonio, ma che venne comunque riconosciuto da questi.
I fratelli Gianfranco, Claudio e Riccardo Modeo. |
Abbiamo parlato di "protezione" imposta, a carico dei mitilicoltori, come forma di racket mimetizzato. Proprio il monopolio di tale "attività", saldamente in mano ai Modeo, porrà indirettamente le fondamenta dell'elevazione a "mafia tarantina" dell'organizzazione guidata dai figli di Cosima Ceci. Matteo Marrotta decise di contrastare la "protezione" dei Modeo fondando una cooperativa finalizzata alla vigilanza sulle coltivazioni dei mitili. La sua idea di opporsi alla criminalità attraverso una concorrenza legale sarà la causa della sua morte, avvenuta il 7 luglio 1985 nel quartiere periferico della Salinella. Gli autori dell'omicidio, Gianfranco e Riccardo Modeo, erano alla guida di una moto a volto scoperto, un messaggio plateale che si rivolterà contro di loro. Le dichiarazioni del cugino della vittima, presente durante l'omicidio, porteranno all'arresto dei due fratelli il 30 luglio 1985. Matteo La Gioia, questo il nome del testimone, verrà ucciso alcuni anni dopo.
Reclusi nel carcere di Taranto, i due fratelli presero una decisione importantissima per la malavita locale, ma soprattutto per l'intera città di Taranto e per i suoi abitanti, la fondazione della "Famiglia Modeo", costituita e riconosciuta secondo le regola dell'onorata società. Gianfranco venne eletto "Capo Famiglia", Riccardo venne eletto "Capo Bastone" e Claudio "Capo Famiglia della Minore". Si ebbe quindi il passaggio da una delinquenza individuale a una criminalità organizzata.
Come abbiamo visto nell'articolo dedicato al contrabbando di sigarette, risulta fondamentale che un'organizzazione criminale estenda il suo dominio su tutti le attività illegali presenti nel territorio di sua competenza. Questo non solo per aumentare le possibili entrate, ma anche per evitare di arricchire e rendere più forti amici che in futuro potrebbero diventare nemici della stessa organizzazione che ne ha permesso la crescita. Nella città di Taranto lo spaccio di droga era sempre stato un tabù, i tossici infatti erano costretti a recarsi a Bari o in provincia di Brindisi. Claudio Modeo, dopo la sua scarcerazione dal penitenziario di Nuoro, avvenuta il 19 dicembre del 1986, decise di far estendere le attività della famiglia anche nel traffico di stupefacenti e di aprire il mercato della droga nella città di Taranto.
Antonio Modeo, detto il "Messicano" |
Il coinvolgimento dei tre fratelli nel lo spaccio di droga aumentò i dissidi con il fratellastro Antonio. Antonio, detto il Messicano per aver fatto la comparsa in uno spaghetti western, era stato da giovane legato ai movimenti della sinistra extraparlamentare e aveva una visione "romantica" della criminalità, non accettava quindi di immischiarsi in attività che avrebbero ancor più sfruttato il proletariato. Questa visione rivoluzionaria della criminalità non gli impedirà comunque di essere uno dei criminali che più seppero sfruttare le possibilità di mimetismo imprenditoriale derivanti dalla presenza dell'Italsider.
Il coinvolgimento del clan Modeo nello spaccio di droga, che avrebbe contribuito al finanziamento dell'organizzazione, portò contemporaneamente all'isolamento di Claudio. Appena usciti di prigione per decorrenza dei termini della carcerazione preventiva, avvenuta il 24 marzo 1989, Gianfranco e Riccardo scoprono che il fratello Claudio si era impossessato di parte dei soldi dell'organizzazione, la gestione del narcotraffico fu posta sotto il controllo di Pulito Marino.
Pulito Marino era un criminale di Pulsano (TA), dove gestiva una macelleria, che avrebbe scalato velocemente le gerarchie del clan Modeo. Il potere acquisito dal Pulito avrebbe ben presto indotto degli screzi all'interno dell'organizzazione criminale, soprattutto da parte del Gruppo di Taranto Vecchia, che non poteva accettare la sua esclusione dalla leadership in favore di un paesano.
Altre incomprensioni sfoceranno in una gravissima scissione. Così come Claudio estese la sua influenza sul traffico di droga, così Salvatore De Vitis e Orlando D'Oronzo, sfruttando la permanenza in carcere dei fratelli Modeo, accrebbero il loro potere nel settore delle estorsioni. L'atto di ristabilire le gerarchie, attraverso una riduzione della tangente a carico di un imprenditore, da parte di Riccardo Modeo, causò l'uscita di De Vitis e D'oronzo dal clan di Gianfranco e Riccardo. I due decisero quindi di legare i loro nomi a quelli di Antonio il Messicano. Era la primavera del 1989, la fine della quiete e l'inizio della tempesta.
Primo a cadere sotto i colpi derivanti dalla scissione primaverile è Costantino Turco, uomo del clan Modeo. Viene sospettato dell'omicidio Salvatore De Vitis. Il clan, attraverso Giovanni Orlando, ordina a Gregorio Cicala di uccidere il De Vitis. Il cicala finge di accettare l'incarico, ma torna sui suoi passi e fredda il committente, schierandosi quindi con il De Vitis, suo padrino di cresima. Il cicala sarà uno dei più importanti killer del gruppo De Vitis-Messicano
Il clan Modeo risponde uccidendo Paolo De Vitis, padre di Salvatore e persona completamente estranea al mondo criminale tarantino. Le conseguenze di questo gesto privo di qualsiasi onore malavitoso non si fecero attendere. Lo stesso 20 agosto, Cosima Ceci, madre dei Modeo, viene colpita con sei proiettili calibro 7.65. Muore dopo otto giorni dall'attentato eseguito da Cicala e Nicola De Vitis.
L'omicidio della Ceci manifesta la rottura netta tra il Messicano e la sua famiglia, nucleo dominato e soggiogato dalla stessa Ceci. Un olocausto quindi fondamentale per l'inizio di quella guerra fratricida.
Dopo la morte della Ceci, i fratelli Modeo decisero di allearsi con Salvatore Annacondia, leader indiscusso della criminalita nord barese e che abbiamo conosciuto nell'articolo dedicato al contrabbando di sigarette. Dopo l'arresto dei Modeo,
conseguente a un periodo di latitanza che ha termine il 3 aprile 1990 presso il bunker Montescaglioso (Matera), Pulito e Annacondia prenderanno le redini della Famiglia, che andrà a occupare tutti i passaggi della filiera della droga. Taranto verrà inondata da un mare di eroina.
La presenza dell'Italsider, della sede del Comando in Capo dell'Alto Ionio e del Canale d'Otranto della Marina Militare, delle scuole di addestramento reclute della Marina e dell'Aeronautica assicuravano un esercito di potenziali consumatori, senza contare l'alienazione vissuta dai giovani tarantini costretti a vivere in una città ad elevato tasso di disoccupazione e con una urbanizzazione che pare quasi finalizzata ad aumentarne il disagio e l'isolamento. Non a caso saranno proprio i quartiere periferici, come i Tamburi e la Salinella, a essere, oltre che terreno di coltura per le giovani leve, importantissimi punti di smercio della droga.
Il fine di tutto ciò era aumentare in tutti i modi le entrate del clan, sia per sostenere le ingenti spese legali per la liberazione dei due fratelli, compreso un tentativo con la P2 di Gelli, sia per acquistare un arsenale di armi idoneo a sostenere il conflitto con il gruppo De Vitis-Messicano. La Famiglia si alleò, al fine di aumentare l'occupazione del territori e la sua potenza di fuoco, con la famiglia degli Appeso, con il clan di Francesco Di Bari e quello di Francesco Scarci.
L'attentato dinamitardo del 28 ottobre 1989 a carico di Claudio Modeo, da cui uscì illeso. |
Ormai a Taranto è guerra aperta e la città si trasforma nella Chicago degli anni '30. Gli affiliati ai due clan si sparano per strada incuranti dei passanti ed emergono personalità che spiccano per la loro efferatezza e crudeltà.
Altro importante elemento del gruppo di fuoco dei Modeo era Alessandro Bozza, killer ed eliminatore. Suo era il metodo di distruzione del cadavere ponendolo sopra una pira di pneumatici cosparsi di benzina.
Durante questi anni di mattanza numerose risultano le vittime innocenti. Tra queste ricordiamo Sandra Stranieri, uccisa mentre passeggiava con un'amica nel borgo cittadino; Angelo Carbotti, ucciso presso la rampa del Pronto Soccorso dell'ospedale, colpevole di avervi accompagnato la sorella incidentata di Cataldo Ricciardi, con cui verrà scambiato il povero venticinquenne; Ileana Palombella, di soli quattordici mesi, uccisa in un agguato insieme al padre.
Angelo Carbotti, il ragazzo ucciso per errore il 22 aprile del 1990 |
L'uccisione di Antonio Mondeo, avvenuta il 16 agosto 1990 per mano di Salvatore Annacondia, ha un elevato valore simbolico. "Manomozza", questo il soprannome del boss tranese, aveva sempre profetizzato l'importanza che un'organizzazione criminale estendesse i suoi tentacoli su tutte le attività illecite del proprio territorio. L'uccisione di colui che si oppose allo spaccio di droga rappresenta la vittoria di questo principio.
La morte del Messicano e di Salvatore De Vitis, avvenuta il 7 maggio 1991, non permetteranno comunque il mantenimento del dominio su Taranto del clan Modeo. In una guerra originata dall'uccisione di un padre innocente, ma anche da quella di una madre legata agli uomini di entrambi i clan, non possono esistere regole o limiti. Proprio la crudeltà, ma anche l'uso di quelle droghe che tanto il clan cercò di diffondere, è alla base della strage della barberia, massacro avvenuto la sera dell'uno ottobre 1991 e che chiuse, con le sue sei vittime innocenti, gli anni della guerra a Taranto e dei suoi 169 morti.
Giovanni Caforio, Cosimo Bianchi e Gaetano Fanelli, membri fedeli ai Modeo, effettuaronono una spedizione punitiva, sotto l'effetto di sostanza stupefacenti, ai danni di Antonio Martera e di Cosimo Cianciaruso, elementi di spicco del Gruppo di Taranto Vecchia, sempre più indipendente dalla Famiglia Modeo. Le due vittime designate frequentavano solitamente la barberia di Via Garibaldi, presso il Borgo Antico. I tre killer, senza controllare la presenza delle vittime, fecero fuoco dall'esterno del locale. La strage fu il colpo di coda di un clan indebolito dagli arresti, unico uomo libero, se pur latitante, era Francesco Di Bari. Il pentitismo e la collaborazione con la giustizia posero la pietra tombale sul clan Modeo.
Salvatore Annacondia, detto "Manomozza". |
Il libro "Taranto, tra pistole e ciminiere. Storia di una saga criminale" ( 264 pagine, 2011, I Libri di Icaro) è stato scritto da Nicolangelo Ghizzardi. Ghizzardi , attualmente magistrato di Cassazione con funzione di Procuratore della Repubblica Aggiunto presso il Tribunale di Brindisi, è stato sostituto procuratore al Tribunale di Taranto, dove ha sostenuto l'accusa contro gli uomini coinvolti nell'ascesa e nella caduta del clan Modeo. Il magistrato ha collaborato alla puntata di "Città Criminali" che LA7 ha dedicato alla città di Taranto, puntata che si è aggiudicata il primo premio della fiction edita nella sezione "miglior documentario" al Roma Fiction Festival. Da questo documentario sono state tratte le foto dell'articolo.
Il suo libro risulta fondamentale per comprendere l'evoluzione del gruppo Modeo a Famiglia criminale e di come quelle risorse atte alla crescita socio-economica di un territorio, in questo caso l'Italsider, diventino foraggio della criminalità più che della popolazione di quello stesso territorio.
Ci piacerebbe dire che oggi a Taranto non si spara più, non possiamo farlo, ma possiamo dire che di certo a Taranto si spara di meno rispetto a quegli anni. Spesso nelle notizie di cronaca rispuntano i nomi della vecchia faida, ma ormai la mafia è quella dei colletti bianchi, come ha dimostrato il dissesto finanziario della città di Taranto e la corruzione che per anni è ruotata intorno all'Ilva e a molte personalità politiche del capoluogo ionico. Questa contaminazione della politica e dell'imprenditoria rischia inoltre di incentivare la disillusione ormai diffusa nella Città dei Due Mari, andando quindi a creare un alibi nell'aderenza a uno stile di vita malavitoso come unico mezzo di reazione ad un potere ipocrita ed egoista. Ciò costituirebbe la morte di quella così detta "Primavera di Taranto" che ha visto la città intera divenire parte attiva nella rivendicazione del suo diritto alla salute, indipendentemente dalla risoluzione governativa inerente il futuro del mostro che sorge alle porte del quartiere Tamburi e che continua inesorabilmente a uccidere.
5 commenti:
Bellissimo questo articolo.
Com'è cambiata l'Italia, eppure era solo una ventina di anni fa... sembrano storie appartenenti ormai a un'altra epoca, forse perché era davvero un'altra epoca criminosa.
Moz-
Splendida ricostruzione di un'epoca che sembra lontana invece è solo ieri!
@Miki Grazie Mille Miki. Come in Sicilia, anche nel resto d'Italia si è messa la lupara da parte, per indossare il colletto bianco e investire sul santino in politica. La mimetizzazione è diventata quasi perfetta.
@Lucius Grazie Mille Lucius. Ora che hanno preso i pesci grossi, sono aumentati i pesci piccoli, che hanno sempre fame...
Purtroppo sì, è vero.
E si fanno più danni ora che prima, quando si sparava...
Moz-
Ora riescono a intaccare la fiducia verso le istituzione e lo stesso concetto di welfare, incentivando il conflitto sociale. Se poi ci aggiungiamo i programmi di integrazione, controllati a volte da cooperative compiacenti, si diffonde un malcontento che può essere sfruttato facilmente da organizzazioni estremiste. Cosa che in Italia è sempre riuscita bene...
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