mercoledì 15 aprile 2015

Il bianco e nero di "Danza Macabra" e le pennellate sature di "Nella stretta morsa del ragno". Antonio Margheriti rifà se stesso dieci anni dopo.






  Il cronista Alan Foster (Georges Rivière) si reca alla taverna londinese Four Devils sperando di carpire un'intervista a Edgar Allan Poe, giunto da poco in Inghilterra. Il tormentato visionari, dopo aver raccontato  l'agghiacciante storia di Berenice, sostiene di esser un semplice rappresentante della realtà e di essere quindi privo di qualsiasi sorgente creativa. Il cronista, scettico innanzi a qualsiasi fenomeno soprannaturale, si lascia convincere da Lord Thomas Blackwood, commensale del poeta, a passare una notte in solitudine presso il suo castello di Providence.
Proprio in quella notte, a cavallo tra il primo e il due novembre, i morti torneranno nel castello per rivivere la tragica vicenda che li strappò alla vita. Nel caso in cui riuscisse a sopravviver a tal prova vincerebbe dieci sterline.
 Il soffio del vendo, che spalanca rumorosamente la finestra, si insinua nella casa come nella mente di Foster cominciando ad affievolire lentamente la luce derivante dal lume della ragione, mentre quella ambientale soccombe immediatamente a quella brezza gelida. Brezza che stira lentamente i nervi, tendendoli a poco a poco. Rumori improvvisi. Riflessi imprevisti. Cerca quasi di autoeducarsi, di adattarsi razionalmente al nuovo ambiente. Temprare la razionalità che sente fremere come sotto l'attacco di eserciti immaginari.
  Rumori improvvisi. Riflessi imprevisti. Effetti ottici... e mani che si posano dolcemente su di una spalla. Mentre Foster è intento a suonare uno spartito, viene raggiunto dalla sorella di Lord Blackwood, Elizabeth.





 Sensualità e inquietudine trasudano dal volto di una Barbara Steele in cui il make up enfatizza quei grandi occhi inebrianti e quegli zigomi come calchi di labbra nel loro pronunciarsi. Ella apre un sipario di pace e tranquillità in Alan, che vede in lei un elemento proprio della casa ma reale.
 L'equilibrio creatosi viene rotto dalla comparsa di Julia, Margarete Robsahm. La sua avvenenza muta il gioco delle parti, il sottointeso diviene manifesto e decade come sedimento corporeo e impurità. La luminosità del suo viso, in netto contrasto con la tendenza all'ombreggiato di Elizabeth, riflette il suo spirito tagliente e cinico. Il suo essere coscienza e condanna di Elizabeth. Il triplice incontro sarà la fornace del dramma.




 L'utilizzo del bianco e nero esalta il rilassamento dei toni e la pacatezza degli umori, predominanti nella prima fase del film. A differenza di ciò che avviene nel suo cinema dai dipinti saturi, dove l'architettura del viso diviene megafono dell'emotività, qui le emozioni vengono quasi calcificate nella mineralizzazione della morte, unico segno distintivo di questi esseri che vagano per il vetusto edificio sulla collina di Providence. Mentre il volto di Alan risulta mare in tempesta.




 Mineralizzazione che è stata indotta dal passato ardore dei sensi, diffusosi per quelle mura come un morbo tra i vicoli di un borgo, il cui falò ha regnato sull'altare della distruzione. Un altare su cui si reggono tutti gli eventi di quella casa, la matrice di un carillon inquietante.
 Una passione e uno strazio osservati da Alan stesso prima ancora che dallo spettatore. Una danza degli sguardi nei tumulti delle emozioni. Uno sguardo che pietrifica il fruitore per l'incapacità di protendere una mano per fermare quel carillon del dolore.




 L'opera di Marghetiri riesce a imprimere quel senso di incontrollata dispersione nel sovrannaturale utilizzando effetti speciali quasi nulli. E' la trama e la fotografia "naturale" ad arare minuziosamente e lentamente un baratro emotivo a carico dello spettatore.
 Danza Macabra diverrà un importantissimo punto di riferimento per quegli sceneggiati della rete nazionale in cui l'impalpabile si trasforma nel terribile burattinaio dei passi mortali.






 Nel 1971 Margheriti, spronato da un entusiasta Giovanni Addessi, gira di malavoglia un remake di Danza Macabra. intitolato Nella stretta morsa del ragno. Addessi è convinto che  il colore, unito alle innovazioni tecnologiche dell'epoca, non possa che esaltare quelle sensazioni di angoscia e inquietudine trasmesse dall'opera in bianco e nero.
 La trama resta pressoché invariata, tranne per una sfumatura più erotica del personaggio di Julia che tende ad estremizzare la sua partecipazione al dramma. Bisogna precisare che delle due scene a cui mi riferisco solo una risulta presente nella versione italiana, l'altra è presente solo nella versione destinata al mercato tedesco.
Le inquadrature si soffermano maggiormente sul dettaglio, reso più drammatico dalla sincronizzazione dei movimenti e delle messe a fuoco. Per quanto riguarda gli effetti, vengono ricalcate le distorsioni visive, forse enfatizzandole maggiormente, che affioravano nell'opera precedente. Vi è anche la presenza di piani inclinati per rappresentare lo smarrimento di Alen. Viene resa più complessa la scena dello scheletro nella bara presente nella cripta.
 Le figure femminili, Michèle Mercier e Karin Field, non riescono a rimuovere dalla nostra retina l'immagine di Barbara Steele e Margarete Robsahm. Anthony Franciosa, con il suo aspetto da dandy e da spaccone, regge benissimo la parte di Alan. Forse proprio quell'aspetto vissuto e da duro riduce la manifestazione di impotenza che centrifuga Georges Rivière, e per empatia noi stessi, ma la sua interpretazione di una mente orami soggiogata dal delirio è magnifica.
Elemento di forte impatto scenico è la partecipazione di Klaus Kinski nel ruolo di E.A.Poe. Il tormento diviene possessione. La staticità introversa di Silvano Tranquilli evolve nella dinamicità di gruppi muscolari disarticolati che con spasmi scomposti, tra tetania e botulismo, spazia in un palcosenico infinito. Straborda. Egli danza con una telecamera inebriata dalle sue parole come dai suoi solfeggi anatomici. Sibili di crotari in assalti onirici. Il palco è troppo misero. Il pubblico troppo esiguo.




 Se in Danza Macabra Poe era quasi sollevato dal rifiuto iniziale di Alan riguardo alla sua partecipazione alla lugubre scommessa, qui risulta invece il Deus Ex Machina di quel sentiero infernale che abbraccerà la notte dello scettico giornalista. Egli vede in lui il germe di una nuova storia. Il protagonista di un nuovo racconto.




Sul tubo è possibile confrontare l'interpretazione di  Klaus Kinsk e quella di  Silvano Tranquilli.





8 commenti:

Ivano Satos ha detto...

Grazie Mille Cassidy!!! Onoratissimo dei complimenti generati da un cinefilo paroliberista come te ;)

Nick Parisi. ha detto...

Ho visto a suo tempo entrambe le versioni, quando le prime TV libere non si facevano problemi a trasmetterle in prima serata. Devo dire che preferisco la versione del 1964 anche se Kinski è e resta insuperabile con la sua interpretazione di Poe.

P.s
Grazie per aver taggato i miei post sui vecchi sceneggiati RAI.

Ivano Satos ha detto...

Giustissimo Nick. Danza Macabra è un vero gioiello in grado quasi di ipnotizzare e inglobare lo spettatore.

E' sempre un piacere diffondere ciò che si considera bello e speciale ;)

Obsidian M ha detto...

L'origina Danza Macabra batte senza dubbio 10 a 1 il suo remake,nonostante i due film siano sostanzialmente identici, dalle inquadrature ai dialoghi fotocopia. Sarà forse per via del bianco e nero, sarà forse per l’assenza di Barbara Steele che nessuna attrice, per quanto bella e brava, avrebbe potuto eguagliare. Nemmeno la presenza di Klaus Kinski è riuscita a far ritrovare quel particolare "mood" che non mi spiego (forse perché non riesco ad immaginarmi Poe con quella faccia).

Obsidian M ha detto...

aggiungo che è una singolare coincidenza che io e te siamo usciti a pochi giorni di distanza con due post che, in un certo qual modo, hanno un vago collegamento in comune: il tuo "Danza Macabra" e il mio "Memento Mori".
Memento mori (ricordati che devi morire) era il messaggio che volevano far passare quei diffusissimi dipinti medievali noti come "Danze Macabre" (aka "Totentanz" aka "Dance of Death")....

Ivano Satos ha detto...

Lo stesso Margheriti non vedeva di buon occhi quel remake che, in un certo senso, fu quasi costretto a girare. Sicuramente l'uso del bianco e nero, la fotografia di Riccardo Pallottini, la splendida magia di Barbara Steele e anche la recitazione di Georges Rivière, con cui è facilissimo entrare in empatia e guardare il film attraverso i suoi occhi sconvolti, rendono Danza Macabra un'opera unica.

A volte le coincidenze ti lasciano veramente di sasso. Ieri notte, ad esempio, stavo completando la recensione di "Paranoiac - Il rifugio dei dannati" e sul blogroll mi appare il post di Erica Bolla dedicato a "Racconti dalla tomba" di Freddie Francis... La telepatia dei blogger :)


Lucius Etruscus ha detto...

Non conoscevo questi film se non di nome, quindi è stato un piacere per me leggerti, ma solo dopo aver visto il secondo (per gli intenti "scacchistici" che tu ben sai ^_^)
Inutile sottolineare quanto sia deflagrante e incontenibile Kinski nel ruolo di Poe: prima o poi bisognerà fare uno specialone sui film che ritraggono lo scrittore di Providence ;-)
Grazie delle dritte e complimenti per il post!

Ivano Satos ha detto...

Sono sicuro che in questo momento ti stai già documentando con il tuo fuoco incontrollabile di attento ricercatore ;)
Grazie mille per i complimenti amico. Ormai sono come Robocop affetto dal virus Kasparov, quando vedo gli scacchi parte lo zoom e poi l'email ;)