lunedì 28 settembre 2015

Racconto zombesco di Mirko Giacchetti in onore di Zombie Walk Novara 2015!!!






     La Zombie Walk è la rappresentazione itinerante di un'apocalisse zombie. Un enorme branco di persone, truccate come non morti, vaga ruminando carne umana e petando umori decomposti per la città ventilata. Nella serata del 3 ottobre si svolgerà la prima edizione di Zombie Walk Novara, organizzata dal gruppo informale Horror Horror Horror con la collaborazione dell'Associazione V-Events
 Per incrementare le capacità empatiche di tutti i partecipanti, gli organizzatori hanno programmato per il pomeriggio un evento culturale presso il locale Insolito Gusto, situato a Novara in via XX settembre n°12, dove potrete assistere alla presentazione delle ultime opere partorite dalle menti di Annamaria Lorusso, attrice e sceneggiatrice, di Pietro Grandolfi e Mirko Giacchetti, scrittori ben noti agli amanti dell'horror. A seguire la band "Gli Stil Novo"
 Ricordiamo, per coloro che hanno intenzione di partecipare alla Zombie Walk Novara, la possibilità di usufruire dei truccatori del progetto, presentandosi al locale Insolito Gusto a partire dalle ore 14. Coloro che hanno un aspetto di per sé mortuario, che sono usciti vivi da una pogata o che hanno la possibilità di truccarsi indipendentemente, possono raggiungere il punto d'incontro per la passeggiata gutturale alle ore 19. Se avete una suocera cardiopatica... quale giorno migliore per una visita a Novara?


 Programma dell'evento (in aggiornamento)
- ore 14.00: apertura locale Insolito Gusto (via XX Settembre 12)
- ore 15.30: inizio trucco
- ore 18.30: piccolo ristoro
- ore 20.00: inizio della Walk
- ore 22.30 (circa): arrivo al locale Insolito Gusto(via XX Settembre 12)
- ore 23.00: buffet e musica
- ore 00.00: chiusura manifestazione

 Il nostro amico Mirko Giacchetti, delle cui opere vi abbiamo parlato qui, ha voluto dedicare un racconto zombesco a Renato Politi e Desy Fornara, i due organizzatori che lo hanno inserito nel menù antropofago di Novara. Siamo onorati quindi di fungere da tramite per codesta opera dedicante, dove deflagrano l'humor nero e la crudeltà spiazzante tipici dell'autore. Buona lettura!







L’ultima volta.


     Un filo di fumo nero contro un cielo di un azzurro infinito non ha l’aria di un evento casuale, ma ha l’aspetto di un invito chiaro e preciso, una cosa del tipo: “abbiamo acceso un falò per movimentare la festa, veniteci a trovare.”
Da quel braccio di statale che da Casalino porta a Novara, quella sottile speranza oscura richiama gli zombie verso San Gaudenzio, ma attira anche l’attenzione di Renato. Si è accorto della novità del giorno, quando è uscito per controllare le protezioni attorno a cascina Rosella, il suo rifugio. La costruzione non è un incrocio, è un incidente tra una caserma e una azienda agricola, edificato nel mezzo delle risaie e gli sciami di zanzare. Protetta da un solido muro di cemento ha un’anima tozza da castello fortificato e l’aspetto da colonia penale.
Intrappolato nel silenzio di un mondo morto, non inizia il giorno allo stesso modo, non infila la vanga nel cranio degli inopportuni visitatori impegnati a strisciare nel fossato o in cerca di riposo tra le spirali del filo spinato. Questa mattina il suo sguardo rimbalza tra la colonna grigia e la schiena dei cadaveri con il vizio del trekking.
Il gregge dei passeggiatori si dirige verso San Gaudenzio.
Dopo i giorni del contagio non ha più incontrato solo trapassati incapaci di rimanere tranquilli nelle fosse. Una serie di giornate tutte uguali, l’abitudine lo ha avvolto con una persistente sensazione di una sicurezza a prova di Apocalisse. Così è partito per cercare tracce di altri esseri viventi, ogni fallimento lo ha condito con la fantasia e, sperando più del necessario per un uomo nelle sue condizioni, non ha perso la fede. Non si è arreso all’evidenza di essere l’unico vivo nel raggio di chilometri.


*
Stringe il volante mentre nelle vene gli scorre un cocktail di adrenalina ed eccitazione. Sfreccia sull’asfalto con la modalità Carmageddon per mettere sotto le ruote la maggior quantità di morti viventi. Negli anni la popolazione di ritornati è drasticamente diminuita. Gli esemplari più vecchi rimasti in circolazione sono stati congelati e tostati a dovere dalle varie intemperie: si sono assottigliati, ma non rassegnati. Non puzzano come le peggiori discariche di Caracas, hanno più l’aspetto di scheletri straccioni; quelli più freschi sono il solito pasticcio di carne marcia maleodorante, espressione vacua e affetti dalla ben nota rigidità motoria.
È concentrato. Per non distrarsi, ascolta la sottile filigrana di rumore bianco trasmessa dagli altoparlanti e rende più rumoroso l’abitacolo della Fiat punto. Ce n’è abbastanza ma sono disposti a random e la maggior parte striscia i piedi tra l’erba intossicata dei campi a bordo strada.
Ironia della sorte, ha una carrozzeria rossa, l’ideale per tenere lo sporco creato dal sangue raffermo dei resuscitati.
Osserva la cenere che dalla terra arriva sino al cielo, ma sceglie il tragitto più largo nell’anello delle tangenziali. Cerca di penetrare attraverso il punto più sottile tra la periferia e il nucleo della città. Arrivato all’altezza del centro commerciale San Martino, guarda i resti abbandonati. Un’imponente colata di cemento armato, affondata nel mezzo di una conca e un piano sprofondato sotto terra. Dopo essere stato depredato, devastato e distrutto dall’isteria di massa ha perso la maschera; ogni vetrina sfondata vomita l’oscurità del deserto spacciato per offerta speciale, infiocchettato e lustrato sotto l’occhio vigile dei registratori di cassa.
Curioso, un enorme esercizio commerciale, dove la generosità non è di casa, è stato battezzato con il nome di un santo arrivato sul calendario per aver diviso il proprio mantello con un povero. La contraddizione non sfiora il cervello di Renato, schiaccia a fondo l’acceleratore scende dal cavalcavia, prende velocità per aprirsi un varco tra l’orda in via Costa, un rettilineo farcito di non morti e arginato da palazzoni senz’anima.
Sfoltito il muro dei non abbastanza morti per stare fermi, si rende conto che la presenza degli infetti cala inesorabilmente. Un buon segno, la sua corsa ha raggiunto l’inizio dell’esodo delle larve.
Via XX Settembre non nasconde sorprese, nemmeno sotto i portici. Largo Costituente è una curva, scorre veloce. Si lascia le poste centrali alle spalle. Arrivato, penetra in Piazza della Libertà e si ferma. Gli zombi sono molti, ma non troppi e si possono affrontare senza spiacevoli danni collaterali.

*
Oltre il vetro del parabrezza, sul ciottolato davanti al Teatro Ciocca spicca una pira abbrustolita con tanto di meridiana nera su cui è legato un cadavere carbonizzato. Il suo arrivo attira l’attenzione, i non morti ci impiegano un po’ per voltarsi, ma l’unica sopravvissuta continua a distribuire colpi con la spranga.
La quiete dura solo un attimo. Scende dall’auto. Non vuole rischiare di investire quella farfalla anfetaminica che vola troppo veloce e non si risparmia nell’usare l’arma improvvisata. Afferra la pala, apre la portiera e viene investito dall’odore di barbecue. Dalle narici ai polmoni il tragitto è breve e l’immediata risposta del suo organismo non tarda ad arrivare; un prepotente conato di vomito lo fa traballare. Scuote la testa, cerca di riprendersi, respira con la bocca e inizia il lavoro di muscoli sui bordi della marea zombie per rimuovere lo strato di troppo che lo separa dalla misteriosa sopravvissuta.
Lei sembra non vederlo, troppo presa a sfogare la rabbia. Indossa un paio di blue jeans, degli anfibi viola in puro stile Dr. Martens, una felpa nera. È ricoperta da altrui materiale organico giunto ben oltre la naturale data di scadenza.
Renato avanza di qualche metro, ma un brivido attraversa il suo cervelletto, qualcosa non va. I masticatori vicini preferiscono la tartare di carne, infatti cambiano rotta e lo approcciano, ma la maggior parte la ignora e prosegue imperterrito verso i resti della grigliata.
Se non la attaccano è perché è già spacciata pensa, riprendendo fiato. L’intuizione è una scossa elettrica e gli brucia i neuroni. Il viaggio di sola andata verso l’illuminazione termina quando un urlo umano gli si insinua nei timpani e turba la quiete raggiunta dall’anima.
La ragazza scarica la furia, gli corre incontro saltando e aggirando ogni ostacolo presente.
“Aspetta – urla sollevando la mano sinistra – posso aiutarti.” Mente senza ritegno, ma spera di riuscire a farla ragionare.
La tattica si rivela fallimentare. Appena è a tiro, la fredda estremità dell’acciaio impatta sulla tempia dell’ultimo arrivato.
Il primo appuntamento non è andato bene. Non se ne rende conto, perché sviene e dall’illuminazione passa al buio.


*
Riemerge dalle tenebre. Il risveglio non è dei più piacevoli, il più potente dei mal di testa nella storia ha messo su casa nelle sue ossa craniche, quando la luce si schianta sulle pupille moltiplicando il suo dolore.
Vorrebbe allungare una mano e stropicciarsi la faccia, ma i polsi sono stretti da una robusta corda, la gola soffocata da un giro troppo stretto di canapa e i piedi ancorati alla testata in ferro. Nell’inutile tentativo di liberarsi, riesce solo a dimenarsi nel letto su cui lo hanno legato.
Il resto della stanza è un concentrato di sporco, vuoto e cattiveria. A terra, abbandonata al suo destino, sopra un evidente strato di polvere c’è la spranga, degli abiti sporchi e una sedia di legno.
Dalla finestra sulla parete vede uno scorcio di tetti, ma non riesce a riconoscere la zona.
Prima di capire cosa gli stia succedendo, si ritrova a mollo nel suo sudore; i battiti cardiaci hanno una cadenza superiore alla frequenza consentita a uomo. L’idea di morire perché il cuore esplode lo rincuora. L’alternativa di essere inerte nelle mani di una pazza scatenata non è di suo gradimento.
Ma non è il momento di lasciarsi andare. Cerca di evadere usando la sola forza delle braccia. Non se ne rende conto, ma per lo sforzo ruggisce.
Niente, chi si è occupato dei nodi sapeva il fatto suo.
Tra il mal di testa e la fatica si sente esaurito come una pila scarica.
Alle sue spalle si apre una porta.
“Cerca di stare zitto, altrimenti arrivano tutti qui.” La voce di lei è grave, ha lo stesso suono di una lima sfregata sulla grattugia.
“Liberami subito”. Renato gioca la carta del carattere, mostrarsi decisi può aiutare in situazioni del genere.
“Seee, poi vuoi due uova sbattute?” chiede lei.
Non è messa bene. Gli occhi marroni sono spenti, malati. La pelle è bianca, lucida per il sudore e tende a cascare verso il basso. Un reticolo di vene blu traccia la mappa della sua paura di morire. Si è vestita con una t-shirt nera di The Walking Dead e i pantaloni verde chiaro di una tuta da ginnastica acetata.
“Hai notato l’ironia?” Solleva il dito per indicare la frase rossa Beware of Biters appena sopra la faccia stampata di un morto vivente.
“Liberami subito.” È un disco rotto, ripete la stessa frase un centinaio di volte, ma le varie intonazioni attraversano tutta la gamma delle emozioni disponibili.
La ragazza si rialza a fatica, si muove a rallenty e ansima più del necessario. Estrae un fazzoletto dalla tasca e glielo inserisce in bocca. “A me, non servirà più” dice e, nel tentativo di ridere, inizia a tossire.
Tra lei e uno zombie non c’è più molta differenza.
“Ciao, sono Desy, quello bruciato, era il mio compagno.” Si perde nei pensieri e sposta lo sguardo oltre la finestra. “Non era stato infettato, così l’ho arrostito.” Raccoglie i pensieri, ritorna a fissarlo. “Sai, non voglio morire, ma se deve proprio accadere, voglio essere la fine dell’umanità.” Il respiro è un sibilo fastidioso. “Con me, deve morire tutto.”
Lui prova a parlarle, ma ogni suono è filtrato dal cotone parcheggiato nella sua bocca e i mugolii emessi non bastano per replicare.
“Quando tornerò, potrei avere fame e tu sarai il mio primo pasto.” Si lascia cadere sulla sedia e assume le sembianze di una bambola spezzata.
Il petto smette di muoversi, i lunghi capelli neri le coprono il viso e sulle braccia spicca il morso.
Il take away umano tenta di liberarsi, ma i legacci resistono.
Almeno morirà esausto.
Passano i minuti, il silenzio ha occupato la stanza e la preda piange ogni singola lacrima aspettando la fine.
Il corpo di lei ha uno spasmo, poi sussurra le sue ultime parole: “sto arrivando.” (Mirko Giacchetti)




9 commenti:

Lucius Etruscus ha detto...

Splendida iniziativa, il raccconto zombie-lotofago ^_^

Ivano Satos ha detto...

Un bellissimo dono di Mirko Giacchetti ;)

Mirko Giacchetti ha detto...

Grazie mille. Onorato di essere ospitato sul blog del grandissimo Ivano! :)

Ivano Satos ha detto...

Onoratissimo io Mirko!!! Grazie a te per il dono ;)

Nick Parisi. ha detto...

Ottima iniziativa, ottimo racconto, l'unica cosa che mi dispiace è il non poter essere a Novara in data.
Anche perché conosco bene anche la musica degli Stil Novo e li reputo molto bravi.

Ivano Satos ha detto...

Si, sarebbe stato piacevole farsi un giretto necrofilo. Sarà per la prossima volta ;)

Mirko Giacchetti ha detto...

Grazie Nick, se non puoi esserci da non morto... ci sarai con lo spirito! Non abbiamo pregiudizi, accettiamo anche i fantasmi! :)

Francesco Balestri ha detto...

Un breve racconto ma così adrenalinico che giuro leggerei volentieri una seconda parte.
Bello e di grande effetto proprio per la sua particolarità. Per niente eccessivo e con un finale che lascia col fiato mozzo proprio come piace a me!

Bravo Mirko.

Mirko Giacchetti ha detto...

Grazie mille Francesco, lieto che il racconto ti sia piaciuto. Una seconda parte? Se Renato trova un sistema per svincolarsi dalla situazione... perché no? :)